EUROFLAG TODAY

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mercoledì 22 febbraio 2012

The effect of radiotherapy on cardiac function.

Coron Artery Dis. 2012 Feb 16. [Epub ahead of print]

The effect of radiotherapy on cardiac function.

Source

Departments of aCardiology bRadiation Oncology, Faculty of Medicine, Zonguldak Karaelmas University, Zonguldak, Turkey.

Abstract

BACKGROUND:

Radiation-induced heart disease is a complication that may be encountered after radiotherapy (RT) of tumors in the vicinity of the heart. In this study, we aimed to evaluate the effect of RT on the heart, by comparing conventional and tissue Doppler echocardiography parameters obtained before and after RT.

METHODS:

Forty patients who had undergone RT for either lung or left breast cancer were included in the study. ECG, conventional, and tissue Doppler echocardiography were performed before and 4-6 weeks after RT.

RESULTS:

The mean value of the radiation dose applied to all regions of the heart was calculated as 13.1±2.2 Gy (maximum 41.7 Gy). The value for the left ventricle was 10.2±2.0 Gy (maximum 43.6 Gy). A decrease in early transmitral diastolic velocity (E), E/A ratio, EF, Em, and Em/Am, and an increase in E-wave deceleration time, isovolumic relaxation time, isovolumic contraction time, ejection time, and QTc were found after RT.

CONCLUSION:

We found detrimental effects of RT on systolic and diastolic cardiac functions and the electrical conduction system of the heart. Maximal prevention should be provided for the patients during RT.

FIBRILLAZIONE ATRIALE SUBCLINICA

La fibrillazione atriale subclinica

Monitorando per 3 mesi poco più di 2.500 pazienti ipertesi e senza storia di fibrillazione atriale (FA), di età superiore ai 65 anni, ai quali era stato da poco impiantato un pacemaker (2.451) o un defibrillatore (129), gli AA di un recente lavoro hanno potuto constatare che in 261 di questi (10.1%) i dispositivi impiantati documentavano la comparsa di episodi di FA "subclinica" a fronte di soli 7 pazienti con FA clinicamente evidente. Al basale, nessun paziente era stato messo in terapia anticoagulante; più del 60% dei pazienti riceveva invece aspirina. La Tabella e la Fig. accluse evidenziano quanto verificatosi nel periodo di follow-up
un ictus o un embolia sistemica si è verificata in 11 (4.2%) dei 261 pazienti nei quali erano  stati rilevati degli episodi subclinici di tachiaritmia atriale con un tasso di incidenza annuo dell'1.69% rispetto ai 40 (1.7%) dei 2.319 pazienti nei quali l'aritmia subclinica non era stata rilevata (tasso annuo dello 0.69%, HR 2.49, 95% CI 1.28-4.85; p = 0.007)
il rischio era praticamente invariato dopo aggiustamento per i fattori di rischio per ictus (HR 2.50, 95% CI 1.28-4.89; p = 0.008) ed era simile in un'analisi in cui i dati dei pazienti sono stati rivalutati eliminando quelli relativi ai pazienti nei quali si era sviluppata una FA clinica (HR. 2.41, 95% CI 1.21-4.83; p = 0.01)
in nessuno degli 11 dei 51 pazienti che avevano sviluppato un ictus o una embolia sistemica e che avevano avuto l'oggettivazione di episodi di tachiaritmia atriale subclinica rilevata nei 3 mesi del follow-up, vi era stata una FA clinicamente evidente 
la presenza di FA subclinica è risultata correlata tanto con la possibilità di episodi di FA clinicamente evidente (HR 5.56, 95% IC 3.78-8.17, p <0.001), quanto con un aumentato rischio di Ictus cardioembolico o di embolia sistemica (HR 2.49, 95% CI 1.28-4.85, p = 0.007)
la percentuale di popolazione nella quale il rischio di ictus ischemico o di embolia sistemica è associata alla FA subclinica è risultata pari al 13% di quella selezionata per lo studio.
In sintesi, quindi il lavoro dimostra che nei pazienti con pacemaker o con defibrillatore, con storia clinica di ipertensione, ma non di precedenti episodi di FA, si possono frequentemente riscontrare episodi di tachiaritmia atriale subclinica che possono essere prodromici di una futura FA clinica, ma che soprattutto possono essere significativamente associati ad un aumentato rischio di ictus cardioembolico o di embolizzazione sistemica. Purtroppo l'interesse di questi dati rimane solo teorico in quanto gli stessi AA nelle conclusioni riferiscono circa la scarsa efficacia diagnostica del monitoraggio Holter che resta pur sempre limitato nel tempo e la impossibilità pratica di posizionare un loop recorder.

Healey JS et al, for the ASSERT Investigators. Subclinical Atrial Fibrillation and the Risk of Stroke. N Engl J Med 2012; 366:120-129 (DA MEDICINA33)

martedì 21 febbraio 2012

TERAPIA ANTI-IPERTENSIVA. QUALE ORARIO PER SOMMINISTRARLA?

Antipertensivi: meglio se somministrati la sera

La modalità di somministrazione serale degli anti-ipertensivi sarebbe da consigliare almeno nei pazienti con insufficienza renale (IRC) e per i farmaci che agiscono sul sistema renina angiotensina (ACEI, Sartani). Questa è la conclusione cui perviene Hermida in uno studio che ha arruolato 661 pazienti con IRC. Lo studio, che ha però il limite di essere in aperto, ha valutato l'efficacia di una somministrazione di tutti gli antipertensivi al risveglio o di almeno un farmaco la sera, prima di andare a letto. È stata misurata la pressione delle 48 h basale, poi ogni 3 mesi o almeno ogni anno. Dopo un follow-up mediano di 5.4 anni, i pazienti che assumevano almeno 1 farmaco la sera avevano un rischio aggiustato per eventi cardiovascolari totali (infarti e angina, ictus, rivascolarizzazione, mortalità) ridotto di approssimativamente 1/3 rispetto ai pazienti che avevano assunto tutti i farmaci al mattino (p<0.001). Inoltre, i pazienti che assumevano i farmaci prima del riposo notturno avevano una pressione media notturna significativamente più bassa ed un migliore controllo della pressione nella rilevazione dinamica (p=0.003). Per ogni 5 mmHg di diminuzione della pressione sistolica notturna si è assistito a una riduzione del 14.5% del rischio di eventi cardiovascolari nel follow up (p<0.001). I migliori risultati si sono ottenuti però con ACEI e sartani; meno evidenti sembrano con i calcio-antagonisti (CCB) e nulli con i beta-bloccanti ed i diuretici. È possibile che per i beta-bloccanti sia importante la modulazione dell'attività simpatica (quindi meglio somministrarli al mattino) e per i diuretici il peggioramento del riposo notturno causato dell'inevitabile nicturia, se somministrati la sera. A nostro parere la novità del lavoro non consiste tanto nel fatto che si debba frazionare la somministrazione dei farmaci (in genere i nostri pazienti sono poli-trattati e da sempre si cerca di scaglionare le pillole) quanto nell'indicazione a somministrare gli ACEI e i sartani alla sera ed i calcio-antagonisti al mattino, mentre eravamo abituati a fare il contrario (per minimizzare i disturbi collegati alla possibile cefalea da CCB ed altri effetti collaterali).

Hermida RC. J Am Soc Nephrol 2011; 22: 2313 (DA MEDICINA33)

SAUNA E SCOMPENSO CARDIACO

Sedute ripetute di sauna (Waon Therapy) nello scompenso cardiaco

La Waon Therapy in pazienti con insufficienza cardiaca cronica migliora la tolleranza all'esercizio fisico e contribuisce a migliorare la funzione endoteliale. Queste sono le conclusioni a cui sono giunti Takashi Ohori e collaboratori che, in considerazione del fatto che ripetute sedute di sauna nota come Waon Therapy hanno dimostrato di migliorare la funzione cardiaca e la tolleranza all'esercizio fisico nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, hanno voluto indagare i meccanismi che ne sono alla base. A tal proposito sono stati seguiti 41 pazienti con insufficienza cardiaca cronica (età media 68.3 ± 13.5 anni) sottoposti a Waon terapia 5 volte alla settimana per 3 settimane. Prima e dopo il trattamento tutti i soggetti venivano valutati con il "6-minute walking test" e l'ecocardiogramma; venivano inoltre determinati alcuni parametri neuroumorali ed il numero di cellule CD34+ circolanti e veniva testata la funzione endoteliale mediante valutazione della vaso-dilatazione flusso-mediata (FMD). Dai dati dello studio è emerso che la Waon terapia ha aumentato la frazione di eiezione ventricolare sinistra (dal 30.4 ± 12.6% al 32.5% ± 12.8%, p=0.023), ha ridotto i livelli plasmatici di noradrenalina (da 400 ± 258 a 300 ± 187 pg/ml, p=0.015) e di peptide natriuretico cerebrale (da 550 ± 510 a 416 ± 431 pg/ml, p=0.035), ha aumentato la distanza percorsa al "6-minute walking test" (da 337 ± 120 a 379 ± 126 m, p<0.001), in associazione con un miglioramento della FMD (da 3.5 ± 2.3% al 5.5% ± 2.7%, p<0.001) e con un aumento del numero di cellule CD34+ circolanti (p=0.025). I cambiamenti ottenuti al "6-minute walking test" sono stati correlati positivamente con quelli della frazione di eiezione ventricolare sinistra e della FMD e negativamente con quelli dei livelli plasmatici di noradrenalina e dei livelli di peptide natriuretico cerebrale. Infine, da un'analisi multivariata è emerso che un aumento della FMD è stata l'unica determinante indipendente di miglioramento al "6-minute walking test".

Ohori T. Am J Cardiol 2012; 109(1): 100-104 (DA MEDICINA 33)

ASA e Ca del Colon

L'aspirina nella prevenzione del cancro colo-rettale

Erano già noti gli effetti positivi dell'aspirina nella prevenzione del carcinoma colo-rettale, ma i dati di supporto a questa tesi erano basati su studi osservazionali, mentre gli studi randomizzati avevano avuto come end point primario il rischio di adenomi (CAPP1). Il CAPP2 (Colorectal Adenoma/ Carcinoma Prevention Programme) è stato il primo trial randomizzato in doppio cieco che si è posto come end point primario la prevenzione del cancro colo-rettale mediante l'assunzione di aspirina. 861 pazienti con sindrome di Lynch (cancro del colon ereditario senza poliposi) sono stati trattati per almeno 2 anni e seguiti per 10 anni per valutare se l'ASA - somministrata per un lungo periodo di tempo - agisse favorevolmente per la prevenzione di questa patologia oncologica. Il risultato dello studio ha evidenziato che 600 mg di aspirina somministrati per almeno 2 anni procurano una evidente protezione contro il cancro colo-rettale ereditario  (ma non solo), allo stesso modo di una sorveglianza colonscopica. L'effetto comincia già dal 3°-4° anno dopo l'arruolamento, è ben evidente a 6 anni e ancora di più a 11 anni (fig. 2,3). È palese quindi l'opportunità della prescrizione di aspirina nei soggetti ad alto rischio. Non è ancora ben chiaro il meccanismo con cui l'aspirina agisce e se agisca anche su altri tipi di cancro; inoltre rimane da definire meglio il dosaggio ottimale, anche se non sono stati riportati eventi collaterali gravi (si stanno studiando comunque dosaggi più bassi, come quelli adottati per la prevenzione delle malattie cardiovascolari). Infatti evidenze indirette suggeriscono che dosaggi più bassi possono essere utilizzati ed avere ugualmente un buon effetto protettivo. Ma per questo si aspettano i risultati del CAPP 3.

Burn J et al. Long-term effect of aspirin on cancer risk in carriers of hereditary colorectal cancer: an analysis from the CAPP2 randomised controlled trial. Lancet 2011; 378: 2081-2087 (DA MEDICINA33)

mercoledì 15 febbraio 2012

NO A RELAZIONI PERICOLOSE TRA MEDICI E FARMACISTI

No a relazioni pericolose tra medici e farmacisti

Prima Novi Ligure, poi Milano e quindi chissà. Si allarga l'inchiesta della trasmissione Le Iene sulle truffe ai danni del Ssn condotte con il collaudato meccanismo delle false ricette: un medico compiacente prescrive un po' di farmaci costosi a carico di un ignaro paziente, il farmacista "fustella" e spedisce alla Asl e poi rivende una seconda volta (su ricetta bianca) le confezioni senza tagliando oppure se ne disfa in modo più o meno clandestino. Così sembra facesse una farmacia di Novi Ligure chiusa a metà gennaio dai Nas (il servizio tv è andato in onda un paio di settimane dopo) e così parrebbero fare parecchie altre farmacie, anche a Milano, a giudicare da un secondo reportage della stessa trasmissione.
In attesa degli sviluppi (anche giudiziari) ce n'è a sufficienza per rimettere sul tavolo il vecchio tema delle "relazioni pericolose" tra medici e farmacisti: le due professioni dovrebbero rimanere separate da un muro invalicabile, di fatto sono spesso legati da rapporti immobiliari, con i primi ad affittare ai secondi appartamenti contigui alla farmacia per ospitare lo studio. «L'unica strada per vietare questo genere di rapporti» osserva il presidente della Fnomceo, Amedeo Bianco «sarebbe quella di un intervento legislativo. Che poi chi vuole scavalcherebbe facilmente con società di comodo o altre scorciatoie. No, è una questione che affonda nell'etica individuale, nella sensibilità di ciascuno. E poi, laddove emergessero profili penali, provvederà la magistratura».
«Io evito sempre questo genere di rapporti con il farmacista» rincara Roberto Carlo Rossi, presidente dell'Ordine di Milano «ma è difficile riuscire convincenti con i giovani medici che iniziano la professione con 400 o 500 pazienti e non hanno di che pagarsi lo studio. Se qui a Milano ormai un terzo dei Mmg è in affitto da un farmacista, se in città un'insegna offre a tariffe "calmierate" non solo lo studio, ma anche telefono, segretaria e infermiera, una ragione ci sarà. I costi aumentano, i compensi sono bloccati da anni, questo è il risultato»

mercoledì 8 febbraio 2012

Note su Polmonite e BPCO !

Impatto del fine settimana sull'esito delle riacutizzazioni severe di BPCO

Nei pazienti affetti da patologie acute, inclusa la riacutizzazione di BPCO, differenze nella dotazione di personale in funzione del giorno della settimana in cui il paziente è ricoverato in ospedale possono influenzare i risultati in termini di salute. È stato recentemente condotto uno studio al fine di determinare se l'ammissione di un paziente grave nel fine settimana potesse influenzare in maniera sfavorevole la mortalità intraospedaliera. Gli autori hanno analizzato i dati di 289.077 pazienti adulti ricoverati negli anni 2006 e 2007 in ospedali pubblici della Spagna centrale per riacutizzazione di BPCO. I parametri esaminati per valutare la eventuale associazione con il tasso di mortalità comprendevano: giorno di ammissione, dati demografici, storia medica e comorbilità. Le ammissioni durante il fine settimana, nei pazienti con riacutizzazione di BPCO, si accompagnavano ad una maggiore mortalità (12.9%) rispetto al ricovero avvenuto in un giorno feriale (12.1%) (OR 1.07; 95% CI 1.04-1.10). La differenza di mortalità è rimasta inalterata dopo la correzione dei dati per età, sesso e patologie concomitanti (OR 1.05; 95% CI 1.02-1.08). L'analisi dei dati della mortalità a distanza (due anni dopo la dimissione) ha confermato l'eccesso di mortalità nei pazienti ricoverarti in ospedale nel fine settimana (OR 1.17; 95% CI 1.11-1.23). Gli autori concludono che i pazienti con riacutizzazione di BPCO hanno maggiori probabilità di morire in ospedale se vengono ricoverati nel fine settimana rispetto ad un giorno feriale. 

Barba R et al. The impact of weekends on outcome for acute exacerbations of COPD. Eur Respir J  2012; 39: 46-50 


Disfunzione ventricolare sinistra non riconosciuta nel paziente BPCO: implicazioni pratiche

Scompenso cardiaco (SCC) e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) sono due patologie che condividono distribuzione epidemiologica e simili fattori di rischio, ma che nella maggior parte dei casi sono studiate come entità separate. Lo scopo di uno studio di Macchia e collaboratori, di recente pubblicato sull'European Respiratory Journal, è stato quello di valutare la prevalenza e le implicazioni prognostiche che hanno la coesistenza di disfunzione ventricolare sinistra nel paziente BPCO e la presenza di ostruzione delle vie aeree nel paziente scompensato (SCC). Lo studio condotto, di coorte e prospettico, ha arruolato
  • 201 pazienti stabili di età superiore ai 60 anni, affetti da scompenso cardiaco confermato all'ecocardiogramma
  • 218 pazienti stabili di età superiore ai 60 anni, con diagnosi clinica di BPCO confermata da un esame spirometrico.
Tutti i pazienti con scompenso cardiaco erano sottoposti ad esame spirometrico di routine e tutti i pazienti con BPCO avevano praticato il dosaggio del fattore natriuretico atriale (BNP) ed un esame ecocardiografico. I pazienti sono stati seguiti per 2 anni di follow-up. La prevalenza di ostruzione delle vie aeree nel paziente scompensato è stata del 37%; la prevalenza di disfunzione ventricolare sinistra nel paziente con BPCO è stata del 17%. Inoltre la presenza di disfunzione ventricolare sinistra nel paziente BPCO si è accompagnata ad un incremento del rischio mortalità nel follow-up (hazard ratio 2.34, 95% CI 0.99-5.54; p=0.053). Al contrario, la presenza di ostruzione delle vie aeree nel paziente con SCC, non ha influenzato la sopravvivenza. SCC e BPCO coesistono frequentemente ma, nel paziente con BPCO, la presenza di disfunzione ventricolare sinistra peggiora la sopravvivenza. Considerando l'alta prevalenza e le implicazioni prognostiche della disfunzione ventricolare, gli autori concludono che dovrebbe essere prevista di routine, nei pazienti BPCO, l'esecuzione dell'ecocardiogramma ed il dosaggio del BNP. 

Macchia A et al. Unrecognised ventricular dysfunction in COPD. Eur Respir J 2012;39: 51-58 


Score di gravità nelle CAP degli anziani: il più efficiente sembra essere il CRB-65

Per gli utilizzatori degli score di gravità risulterà particolarmente interessante un recente studio spagnolo che mette a confronto i tre più utilizzati (PSI: Pneumonia Severity Index di Fine che considera ben 20 variabili clinico-laboratoristiche; CURB-65: acronimo per  Confusion, Urea, Respiratory rate, Blood pressure and age >65 years e CRB-65 in cui manca l'urea, questi ultimi proposti dalla British Thoracic Society), per verificarne l'efficacia nel predire la mortalità a breve termine tra i pazienti anziani con polmonite acquisita in comunità (CAP). Nei 590 anziani con CAP considerati in questo studio, la mortalità è stata del 13.6% (15.3% in quelli ospedalizzati e 1.4% nei casi seguiti per via ambulatoriale). Come ci si poteva ampiamente aspettare, per tutti gli score i punteggi crescenti hanno predetto in modo abbastanza simile la mortalità a 30 giorni. Tuttavia, anche se i risultati mostrano che il potere discriminatorio predittivo la mortalità precoce tra la popolazione anziana di tutti e tre gli score è stato buono (con un area sotto le curve ROC che varia tra 0.672 per il CURB-65 e 0.727 per il PSI), si evidenziano due peculiarità che vanno adeguatamente sottolineate
  • gli score nel loro insieme discriminano meglio il sottogruppo di pazienti di età fra i 65-74 anni (ROC da 0.699 per il CURB-65 a 0.756 per il PSI)
  • il CRB-65 si è rivelato essere lo score più efficiente in quanto
    • pur presentando una potenza predittiva solo leggermente inferiore al ben più complesso PSI, oltre al gruppo dei pazienti di età fra i 65 e i 74 anni ha ben discriminato anche gli altri sottogruppi di pazienti
    • ha confermato questo omogeneo comportamento predittivo anche nei confronti del CURB-65, avendo nel contempo una precisione predittiva simile o migliore.
Appare pertanto condivisibile quanto appare nell'"occhiello" di evidenza dell'articolo 'What's new?The PSI,CURB-65 and CRB-65 scores perform equally well among elderly people with CAP which supports the recommendation for using the simplified CRB-65 severity score among elderly patients in primary care or emergency visits'.
Ochoa-Gondar O et al. Comparison of three predictive rules for assessing severity in elderly patients with CAP.Int J Clin Pract 2011; 65(11): 1165-72 

Heart Failure

J Card Fail. 2011 Oct;17(10):806-12. Epub 2011 Jul 23.

Functional mitral regurgitation: a link to pulmonary hypertension in heart failure with preserved ejection fraction.

Source

Groupement Hospitalier de l'Institut Catholique Lillois/Faculté Libre de Médecine, Lille, France.

Abstract

BACKGROUND:

Patients with heart failure with preserved ejection fraction (HFpEF) may present with Pulmonary hypertension (PH) and functional mitral regurgitation (MR). Whether PH is linked to the presence of functional MR has not been investigated in HFpEF patients.

METHODS AND RESULTS:

Systolic pulmonary artery pressure (sPAP) and functional MR were assessed by 2-dimensional Doppler echocardiography in 70 ambulatory HFpEF patients and 70 hypertensive control subjects free of organic mitral valve lesions, significant valve disease, and comorbid conditions associated with PH. Whereas none of control subjects had more than trivial MR, 21 patients with HFpEF had functional MR (mean mitral effective regurgitant orifice, regurgitant volume, and regurgitant fraction 7 ± 3 mm,(2) 15 ± 8 mL, and 28 ± 14%, respectively). Pulmonary hypertension (sPAP >35 mm Hg) was significantly more prevalent in HFpEF patients with functional MR than in HFpEF patients without functional MR (62 vs 22%; P = .002). Functional MR remained an independent predictor of PH in HFpEF patients (P = .004) after adjustment on mitral E wave to e' mitral annulus velocity ratio (E/e'; P = .022) and left atrial volume index (P = .025). Systolic PAP and E/e' were greater in HFpEF patients than in control subjects (35 ± 9 vs 29 ± 8 mm Hg [P < .0001] and 13 ± 6 vs 11 ± 5 [P = .018], respectively). Systolic PAP remained greater in HFpEF patients than in control subjects after adjusting for E/e' (P = .002).

CONCLUSIONS:

Pulmonary hypertension appears to be linked to the presence of functional MR in HFpEF patients.

Nephrol Dial Transplant. 2011 Dec;26(12):3908-13. Epub 2011 Mar 18.

Renal resistance index and its prognostic significance in patients with heart failure with preserved ejection fraction.

Source

Division of Cardiology and Ultrasound, Universitaire de Lille, Lille, France. ennezat@yahoo.com

Abstract

BACKGROUND:

Functional renal impairment is a common feature of heart failure with preserved ejection fraction (HFpEF). The link between functional renal impairment and HFpEF remains incompletely understood. With hypertension and diabetes as frequent co-morbidities, patients with HFpEF are at risk of developing intra-renal vascular hemodynamic alterations that may lead to functional renal impairment and impact on prognosis.

METHODS:

Renal resistive index (RRI) was non-invasively determined by Doppler ultrasonic examination in 90 HFpEF patients and 90 age- and sex-matched hypertensive patients without evidence of heart failure (HF) who served as controls. Clinical, laboratory and cardiac echocardiography data were obtained in HFpEF patients and controls. To investigate its possible clinical relevance, RRI was evaluated as a prognostic index of all-cause mortality and hospitalization for HF.

RESULTS:

Mean RRI was substantially greater in HFpEF patients than in controls (P < 0.0001), while mean blood pressure, glomerular filtration rate, hemoglobin and serum protein levels were significantly lower in HFpEF patients than in controls. On multivariable analysis, mean RRI was independently associated with HFpEF. In addition, increased mean RRI was an independent predictor of poor outcome [hazard ratio = 1.06 95% confidence interval (1.01-1.10), P = 0.007] and remained significantly associated with the outcome after adjustment for univariate predictors that included low mean blood pressure, low hemoglobin concentration and low glomerular filtration rate. Conclusion. Patients with HFpEF exhibit intra-renal vascular hemodynamic alterations. The severity of intra-renal vascular hemodynamic alterations correlates with a poor outcome.
Eur J Echocardiogr. 2010 May;11(4):E14. Epub 2009 Dec 3.

Exercise-induced functional mitral regurgitation in heart failure and preserved ejection fraction: a new entity.

Source

Centre Hospitalier Régional et Universitaire de Lille, Service d'explorations fonctionnelles cardiovasculaires, Lille, France.

Abstract

We report here the worsening of functional mitral regurgitation (MR) during dynamic exercise Doppler echocardiography in four female patients with heart failure and preserved ejection fraction. MR worsened concomitantly to an increase in systolic mitral tenting area and in E/E(a) ratio, whereas local left ventricular (LV) remodelling was not substantially aggravated by exercise. We accordingly suggest that exercise-induced increase in LV filling or left atrial pressure that in turn leads to increase in mitral tenting area worsens functional MR during exercise.

lunedì 6 febbraio 2012

The Warburg Effect and Anticancer Mechanisms of Resveratrol.

Curr Pharm Des. 2012 Jan 24. [Epub ahead of print]

Old Wine in a New Bottle: The Warburg Effect and Anticancer Mechanisms of Resveratrol.

Source

4100 John R HWCRC 732, Detroit MI 48201, USA. azmia@karmanos.org & asfar_azmi@wayne.edu.

Abstract

Resveratrol found in fruits, vegetables and beverages such as red wine, has been extensively evaluated for its anti-cardiovascular disease and cancer preventive effects. Even though studies have demonstrated its anti-tumor effects, there is still no clear explanation for cancer cell selective mechanisms of action of resveratrol. Initial investigations were focused on its anti-oxidant and cytoprotective mechanism of action, yet, a large number of studies have demonstrated that resveratrol can behave either as anti-oxidant or pro-oxidant depending on the selective microenvironment. What makes resveratrol a protective agent in normal cells and a radical generator possessing cytotoxic activity against cancercells is a widely debated topic. There must be certain conditions found in tumors that allow resveratrol to become a pro-oxidant that clearly differs from that found in normal cells. Results of studies from our group have established that many different dietary agents can mobilize intracellular copper ions and in the process, generate reactive oxygen species through Fenton type reactions leading to oxidative DNA breakage and consequently, cell death. More significantly, we demonstrated that such pro-oxidant-induced DNA damage and apoptotic activity is enhanced in low pH environments; characteristically observed in tumors due to preferential dependence on glycolysis or the "Warburg effect". This review discusses the recent advancements in understanding the pro-oxidant anti-cancer behavior of resveratrol as a dietary chemopreventive agent, explained in the light of the Warburg effect

Broccoli and Cancer

Mol Nutr Food Res. 2012 Jan;56(1):126-46. doi: 10.1002/mnfr.201100507. Epub 2011 Dec 7.

The potential role of nutritional genomics tools in validating high health foods for cancer control: Broccoli as example.

Source

Discipline of Nutrition, Faculty of Medical & Health Sciences, The University of Auckland, Auckland, New Zealand; Nutrigenomics (www.nutrigenomics.org.nz), New Zealand. l.ferguson@auckland.ac.nz.

Abstract

Nutritional genomics reflects gene/nutrient interactions, utilising high-throughput genomic tools in nutrition research. The field also considers the contribution of individual genotypes to wellness and the risk of chronic disease (nutrigenetics), and how such genetic predisposition may be modified by appropriate diets. For example, high consumption of brassicaceous vegetables, including broccoli, has regularly associated with low cancer risk. Bioactive chemicals inbroccoli include glucosinolates, plant pigments including kaempferol, quercetin, lutein and carotenoids, various vitamins, minerals and amino acids. Cancer prevention is hypothesised to act through various mechanisms including modulation of xenobiotic metabolising enzymes, NF-E2 p45-related factor-2 (Nrf2)-mediated stress-response mechanisms, and protection against genomic instability. Broccoli and broccoli extracts also regulate the progression of cancer through anti-inflammatory effects, effects on signal transduction, epigenetic effects and modulation of the colonic microflora. Human intervention studies with broccoli and related foods, using standard biomarker methodologies, reveal part of a complex picture. Nutrigenomic approaches, especially transcriptomics, enable simultaneous study of various signalling pathways and networks. Phenotypic, genetic and/or metabolic stratification may identify individuals most likely to respond positively to foods or diets. Jointly, these technologies can provide proof of human efficacy, and may be essential to ensure effective market transfer and uptake of broccoli and related foods.

Dietary and blood antioxidants in patients with chronic heart failure.

Dietary and blood antioxidants in patients with chronic heart failure. Insights into the potential importance of selenium in heart failure

Abstract

Background: Chronic heart failure (CHF) seems to be associated with increased oxidative stress. However, the hypothesis that antioxidant nutrients may contribute to the clinical severity of the disease has never been investigated.
Aims: To examine whether antioxidant nutrients influence the exercise capacity and left ventricular function in patients with CHF.
Methods: Dietary intake and blood levels of major antioxidant nutrients were evaluated in 21 consecutive CHF patients and in healthy age- and sex-matched controls. Two indexes of the severity of CHF, peak exercise oxygen consumption (peak VO2) and left ventricular ejection fraction (LVEF), were measured and their relations with antioxidants were analysed.
Results: Whereas plasma alpha-tocopherol and retinol were in the normal range, vitamin C (P=0.005) and beta-carotene (P=0.01) were lower in CHF. However, there was no significant association between vitamins and either peakVO2 or LVEF. Dietary intake (P<0.05) and blood levels of selenium (P<0.0005) were lower in CHF. Peak VO2 (but not LVEF) was strongly correlated with blood selenium: r=0.76 by univariate analysis (polynomial regression) and r=0.87 (P<0.0005) after adjustment for age, sex and LVEF.
Conclusions: Antioxidant defences are altered in patients with CHF. Selenium may play a role in the clinical severity of the disease, rather than in the degree of left ventricular dysfunction. Further studies are warranted to confirm the data in a large sample size and to investigate the mechanisms by which selenium and other antioxidant nutrients are involved in CHF.

Key words

Scompenso Cardiaco. Appunti su.

L'anno nello scompenso cardiaco
W. H. Wilson Tang, MD, Gary S. Francis, MD
J Am Coll Cardiol. 2010 55;688-696

ABSTRACT

Questo ( il 2009) è stato un anno straordinario per i progressi compiuti nell'ambito dello scompenso cardiaco, compresi gli aggiornamenti di diverse linee guida (1), il riconoscimento formale dell'esistenza dello scompenso cardiaco avanzato, del trapianto cardiaco come di una particolare branca specialistica da parte dell'American Board of Internal Medicine (2) e gli innovativi risultati ottenuti in diversi trial clinici. In questa revisione evidenzieremo alcuni dei principali sviluppi nel campo dello scompenso cardiaco ottenuti in quest'ultimo anno.

EPIDEMIOLOGIA
Recenti dati epidemiologici hanno posto l'attenzione sull'importanza di prevenire lo scompenso cardiaco attraverso le modificazioni dello stile di vita prima che tale patologia si manifesti clinicamente. Nello studio Health ABC (Health Aging, Body, and Composition) è stata riportata un'incidenza di 13,6 casi di scompenso cardiaco per 1.000 anni/persona nella popolazione anziana, con una maggiore incidenza negli individui di sesso maschile e di colore. È interessante notare come in questa coorte di pazienti, la mortalità e la riospedalizzazione per scompenso cardiaco erano in gran parte associate a fattori di rischio modificabili. Questa osservazione è confermata anche dai dati del Physicians' Health Study. In questo studio di 20.900 uomini sani di mezza età, coloro che avevano un normale peso corporeo, che non avevano mai fumato, che avevano svolto regolare attività fisica, che avevano fatto moderato consumo di alcool e assunto con regolarità cereali a colazione e frutta e vegetali presentavano un minor rischio di sviluppare scompenso cardiaco nell'arco della loro vita (3). L'impatto delle differenze di razza e sesso nello sviluppo e nella progressione dello scompenso cardiaco è stato valutato in diversi lavori. Nello studio Health ABC, sei degli otto fattori di rischio modificabili (fumo, elevata frequenza cardiaca, ipertrofia ventricolare sinistra, pressione arteriosa mal controllata e ridotto tasso di filtrazione glomerulare) avevano una maggiore prevalenza nei pazienti di razza nera rispetto a quelli di razza bianca (4), soprattutto tra la popolazione più giovane (5). È allarmante pensare che un individuo su 100 di razza nera e di età < 50 anni possa sviluppare scompenso cardiaco, avendo l'ipertensione e l'insufficienza renale come maggiori determinanti. Tuttavia, il maggiore determinante della prognosi nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco non era né la razza né il sesso, bensì l'età (6,7).

FISIOPATOLOGIA

Acido micro-ribonucleico (miRNA). Numerosi dati in letteratura hanno fornito l'evidenza che il miRNA possa essere coinvolto nella fisiopatologia dello scompenso cardiaco e dell'ipertrofia cardiaca (8,9). Gli acidi micro-ribonucleici (miRNAs) sono molecole di acido ribonucleico a singola elica, della lunghezza di 21-23 nucleotidi, che invece di essere traslati in prodotti proteici, servono a regolare l'espressione genica e lo scambio di informazioni mediante la modulazione del segnale da parte dei messaggeri ribonucleici (10). È stata osservata una differente espressione dei diversi miRNAs da parte del tessuto cardiaco normale e del tessuto cardiaco patologico (11) e modificazioni nell'espressione del miRNA sono state riscontrate anche dopo riduzione del sovraccarico ventricolare ottenuto mediante meccanismi di assistenza meccanica (12,13). Dal momento che ciascun miRNA può essere collegato a una serie di processi a valle, è evidente la potenzialità di manipolare tali segnali al fine di poter ottenere una remissione dei fenotipi patologici, come è stato dimostrato in alcuni studi preliminari (14). In ultima analisi, essi possono rappresentare potenziali bersagli terapeutici per ritardare o trattare il processo di rimodellamento e di fibrosi cardiaca.
Peptidi natriuretici modificati. Stanno inoltre emergendo diverse importanti osservazioni sugli adattamenti emodinamici che si verificano nello scompenso cardiaco, riguardanti in particolar modo il sistema dei peptidi natriuretici. Nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato è stato identificato un meccanismo alternativo di splicing delle proteine che portano alla formazione del peptide natriuretico di tipo B. Questi peptidi hanno moderati effetti vasodilatatori, e hanno un'azione protettiva o maggiori effetti natriuretici a livello renale (15). È stato inoltre notato che un altro peptide natriuretico atriale modificato, riscontrato negli esseri umani, si associa a maggiori effetti diuretici, natriuretici e vasodilatatori rispetto al peptide non modificato (16). Con il progredire della malattia, i livelli dei peptidi natriuretici endogeni sembrano ridursi, in parte a causa della presenza di forme alternative degli stessi peptidi, molte delle quali hanno una ridotta bioattività. Attualmente si ritiene che ciò comporti una deficienza relativa dell'azione di tali sostanze (17). Queste osservazioni hanno notevolmente ampliato la nostra comprensione dell'importanza e della complessità del sistema dei peptidi natriuretici (sia in senso adattativo che maladattativo) e ci aspettiamo che tali conoscenze migliorino ulteriormente nel prossimo futuro.
Terapia con cellule staminali nello scompenso cardiaco. Recentemente l'interesse nell'ambito della terapia con cellule staminali ha riguardato le cellule staminali cardiache residenti che possono differenziarsi in molteplici tipi cellulari, compresi i miocardiociti (18). Una piccola proporzione di tali cellule esprime i marker di superficie cellulare Kit e Scal (19), e tali cellule sono in grado di generare cardiomiociti in vitro e in vivo. Un'altra popolazione residente esprime il fattore di trascrizione Isl1, che consente a tali cellule di differenziarsi in cellule endoteliali, endocardiche, muscolari lisce, cellule del sistema di conduzione, del ventricolo destro e in cellule della linea germinale atriale durante lo sviluppo embrionale del cuore (20). Attualmente le cellule staminali cardiache possono essere isolate ed espanse a partire dai campioni cellulari ottenuti mediante le biopsie endomiocardiche. Le cosiddette cellule staminali pluripotenti possono essere ottenute a partire da cellule staminali embrionali e possono rappresentare delle potenziali terapie rigenerative autologhe (21). Tali cellule richiedono la presenza di 3 o 4 fattori specifici di trascrizione (una sorta di cocktail di riprogrammazione) e in linea teorica sono in grado di generare tutte le tipologie cellulari. È emerso che i processi di isolamento, rilascio, sopravvivenza, proliferazione cellulare e integrazione elettromeccanica rappresentino ancora delle grandi sfide, ma diversi protocolli di ricerca nell'uomo sono attualmente in corso negli Stati Uniti. Nonostante i nostri passi avanti nella comprensione dei meccanismi biologici, i trial clinici hanno fornito sino ad ora dei risultati veramente modesti. Chiaramente bisogna lavorare ancora molto in questo ambito e a livello di laboratorio e a livello clinico.
Nuove conoscenze sulla fisiologia del sistema cardio-renale. Diversi gruppi di studio hanno dimostrato che la congestione del sistema venoso rappresenta un importante meccanismo coinvolto nella sindrome cardio-renale, sia nei pazienti stabili con scompenso cardiaco cronico (22), che nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato ammessi in ospedale per una riacutizzazione dello scompenso (23). Il concetto del ruolo della congestione venosa è complementare a quella che è l'idea tradizionale del meccanismo di ipoperfusione arteriosa renale. L'aver scoperto che l'incremento dei valori pressori in atrio destro è responsabile almeno in parte del problema ha spinto a cercare in maniera interdisciplinare un modo per migliorare tale congestione. Attualmente sta emergendo l'importanza di un trattamento combinato farmacologico e mediante tecniche di rimozione dei fluidi extracorporei, in particolar modo quando diminuisce la risposta natriuretica alla terapia diuretica (24). Sono stati inoltre oggetto di interesse la funzione tubulare e la perfusione renale ed è stata rilevata una relazione inversa tra l'escrezione urinaria della porzione amino terminale dell'NT-proBNP e i livelli plasmatici dell'NT-proBNP, e una relazione diretta tra l'escrezione urinaria dell'NT-proBNP e il flusso plasmatico renale (indipendentemente dalla velocità di filtrazione glomerulare) (25). Nel frattempo, il concetto dell'ipoperfusione arteriosa renale non è stato dimenticato, e la somministrazione del peptide natriuretico mediante specifici cateteri ha comportato un miglioramento della filtrazione glomerulare e dell'escrezione urinaria di sodio (26). Dal momento che i determinanti dell'ipoperfusione arteriosa possono essere multifattoriali, è stata recentemente sperimentata una nuova tecnica di trattamento (27). Questa nuova procedura viene eseguita mediante una tecnica di ablazione selettiva tramite catetere del sistema simpatico renale nei pazienti con ipertensione severa e refrattaria, che consente di ottenere una riduzione significativa e persistente dei livelli pressori. Sarebbe interessante esplorare queste nuove tecniche nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato non responsivi al trattamento diuretico a causa della vasocostrizione dell'arteria renale.

VALUTAZIONE DELLO SCOMPENSO CARDIACO
Dosaggio dei peptidi natriuretici. Una delle scoperte più importanti di questo anno è stata l'applicazione del dosaggio dei peptidi natriuretici alla guida della terapia medica dei pazienti con scompenso cardiaco. Lo studio TIME-CHF (Trial of Intensified versus Standard Medical Therapy in Elderly Patients with Congestive Heart Failure) ha randomizzato 499 soggetti di età > 60 anni a una terapia guidata dai livelli di NT-proBNP o a una terapia basata sui sintomi. I ricercatori non hanno trovato differenze significative in termini di sopravvivenza e di ricovero ospedaliero per tutte le cause tra i due gruppi, ma alcuni benefici sono stati riscontrati nel gruppo dei pazienti di età compresa tra i 60 e i 75 anni (28). In maniera simile, lo studio PRIMA (Effect of NT-proBNP Guided Treatment of Chronic Heart Failure) ha randomizzato 345 soggetti, tra 2.900 pazienti ospedalizzati con elevati livelli di NT-proBNP, ≥ 1.700 pg/ml, mediante un algoritmo che prevedeva un'immediata intensificazione del trattamento per lo scompenso cardiaco rispetto al trattamento standard, ogni volta che un paziente aveva un valore di NT-proBNP superiore al valore individualizzato di riferimento. Il braccio di trattamento guidato dai valori di NT-proBNP non ha mostrato delle differenze significative nei giorni di sopravvivenza dopo la dimissione dall'ospedale rispetto al gruppo trattato sulla base dei sintomi (29). Questi risultati sono in accordo con i risultati preliminari di diversi studi più piccoli condotti in singoli centri, e sottolineano la mancanza di dati a supporto dell'uso del dosaggio del peptide natriuretico atriale come guida per la strategia terapeutica. Nonostante ciò, questa strategia continua a suscitare ancora notevole interesse e diversi studi sull'argomento sono ancora in corso. Alcuni ricercatori hanno sollevato il problema di come utilizzare al meglio i livelli di peptidi natriuretici nei pazienti con scompenso cardiaco. In termini di misurazioni seriate, i dati preliminari dello studio PRIMA hanno dimostrato che almeno l'80% dei pazienti raggiunge i propri valori di riferimento entro un periodo di follow-up di 1 anno dalla dimissione dall'ospedale (29). Inoltre una prognosi migliore è stata osservata nel 58% di pazienti che mantenevano dei valori di NT-proBNP nell'ambito del loro range di riferimento in oltre il 75% delle visite rispetto a coloro che non mantenevano tali valori (29). Chiaramente, le modificazioni nei livelli di peptide natriuretico possono essere utili nel monitoraggio della prognosi a lungo termine, come mostrato da un'elegante analisi dello studio Val-HeFT (Valsartan in Heart Failure Trial) (30). Nella pratica clinica, sembra che i livelli di peptide natriuretico al di sopra di certi valori abbiano un minore valore incrementale, e che soltanto importanti riduzioni di tali livelli (riduzioni > 80%) possano avere un effetto favorevole sulla prognosi a lungo termine nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato (31).
Nuovi biomarcatori. Sebbene si continuino a ricercare nuovi biomarcatori di utilità clinica, diversi biomarcatori circolanti metabolici e nutrizionali, che sono disponibili nella pratica clinica, sono stati associati alla prognosi a lungo termine nella sindrome dello scompenso cardiaco. Questi comprendono i livelli sierici di estradiolo (32) e testosterone (33), gli elevati livelli sierici di cobalamina (34), così come il deficit di vitamina D (35) e i livelli di lipoproteine a elevata densità (36), per riportarne alcuni. Bassi livelli di coenzima Q sono stati associati a una cattiva prognosi nello scompenso cardiaco (37). Inoltre, la presenza di albuminuria è stata identificata come un altro forte marcatore prognostico sfavorevole che potrebbe riflettere una sottostante patologia vascolare. In un sottostudio dello studio CHARM (Candesartan in Heart Failure: Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity), in 2.310 pazienti con scompenso cardiaco è stato misurato il rapporto albumina-creatinina di base e durante il follow-up. I ricercatori hanno rilevato che il 30% aveva microalbuminuria e l'11% macroalbuminuria, indipendentemente dalla presenza di una funzione ventricolare conservata o depressa. La presenza di qualsiasi tipo di albuminuria era in grado di predire in maniera indipendente gli eventi cardiaci avversi (38). Attualmente si sta valutando il ruolo prognostico nello scompenso cardiaco di nuovi marcatori, come l'ST2 e la galectina 3 (39-41), e di biomarcatori in grado di predire lo sviluppo dello scompenso cardiaco. In una popolazione anziana del Framingham Heart Study, elevati livelli sierici di leptina erano associati con un aumentato rischio di sviluppare scompenso cardiaco, sebbene questi livelli avessero un limitato valore prognostico rispetto alle variabili cliniche (42). Viceversa, i livelli di resistina erano in grado di predire lo sviluppo dello scompenso cardiaco in diverse coorti di pazienti (43, 44). Anche la sindrome metabolica è stata considerata come un fattore di rischio per lo scompenso cardiaco (45). I livelli alterati di glicemia a digiuno non sembrano costituire un forte fattore di rischio per lo sviluppo dello scompenso cardiaco indipendente dal rischio conferito dal successivo sviluppo di diabete mellito (46). La mieloperossidasi (47), l'interleuchina 6 (48) e l'acido urico sono emersi come predittori di sviluppo dello scompenso cardiaco dall'analisi di ampi database epidemiologici. Queste osservazioni validano e in parte estendono il concetto che un aumentato stress ossidativo e infiammatorio possa contribuire allo sviluppo dello scompenso cardiaco indipendentemente dagli eventi coronarici.
Test genetici. Negli ultimi tempi, a cinquant'anni dalla prima descrizione clinica della cardiomiopatia ipertrofica, abbiamo assistito allo sviluppo di numerosi test genetici per l'individuazione di specifiche cardiomiopatie (50). Disponendo dei dati genetici, abbiamo iniziato a comprendere che differenti mutazioni sarcomeriche possono essere associate con differenti pattern di espressione fenotipica. In particolare, una maggiore distruzione dell'architettura dei miofilamenti deriva più da una mutazione frame-shift che da una mutazione missenso, il che potrebbe spiegare l'esistenza di diversi pattern di disfunzione diastolica associati a differenti mutazioni genetiche (51). Queste scoperte implicano che la conoscenza di specifiche mutazioni potrebbe permettere di predire uno specifico fenotipo e possibilmente avere anche delle implicazioni terapeutiche. Le linee guida per la valutazione genetica delle cardiomiopatie sono state pubblicate quest'anno (52). In generale, le linee guida hanno enfatizzato che esiste una forte evidenza in merito ai determinanti genetici della cardiomiopatia ipertrofica e della displasia aritmogena del ventricolo destro. Nell'ambito della cardiomiopatia dilatativa, dei disturbi aritmici e di conduzione possono esserci delle eziologie specifiche, come le mutazioni della lamina A/C, che sono associate a una prognosi sfavorevole (53). Per questo, in alcuni pazienti potrebbe essere giustificata l'indicazione a un trattamento precoce con dispositivi impiantabili (52). È importante ricordare che, sebbene l'identificazione di una specifica mutazione genetica possa essere utile nel determinare il successivo rischio di mutazioni negli altri membri della famiglia, l'assenza di una specifica mutazione nei test genetici non implica necessariamente che si tratti di un risultato veramente negativo, dal momento che la mutazione responsabile potrebbe anche non essere nota. In altre parole, la bassa sensibilità di questi test costituisce un ostacolo ancora in molte condizioni. Indipendentemente dal fenotipo, è fortemente raccomandata una consulenza genetica e familiare e dovrebbe essere raccolta un'attenta anamnesi familiare. Inoltre dovrebbero essere fornite le informazioni riguardanti la trasmissione della malattia e il rischio familiare (52). Le linee guida hanno anche sottolineato la necessità di una valutazione clinica, che deve comprendere l'anamnesi e l'esame obiettivo, l'ecocardiogramma, l'elettrocardiogramma, così come l'esecuzione di test specifici per alcune cardiomiopatia, a intervalli di tempo regolari.

TRATTAMENTO DELLO SCOMPENSO CARDIACO
Aggiornamenti delle linee guida. Quest'anno sono state pubblicate diverse linee guida cliniche da parte delle più importanti società di cardiologia, ma nella maggior parte dei casi esse comprendono dei perfezionamenti, piuttosto che delle importanti revisioni, delle linee guida preesistenti. Gli aggiornamenti delle linee guida europee e americane raccomandano un più frequente utilizzo del dosaggio del peptide natriuretico sulla base dei dati emergenti a favore di questa pratica clinica, anche se maggiore enfasi è stata data alla valutazione diagnostica dei pazienti in fase acuta. Sulla base dei dati del trial A-HeFT (African American Heart Failure Trial) le nuove raccomandazioni consigliano di aggiungere in terapia l'uso di un vasodilatatore, e nuovi studi osservazionali suggeriscono che l'aggiunta dell'idralazina all'isosorbide dinitrato possa comportare un beneficio incrementale negli americani di razza africana (54). Nelle nuove linee guida i criteri di inclusione per l'impianto dei defibrillatori sono state semplificate e di fatto ridotte alla sola frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) ≤ 35%. L'attenzione per il controllo del ritmo nei pazienti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale si è ridotta in seguito ai risultati del trial AF-CHF (Atrial Fibrillation in Congestive Heart Failure) (55). Nel frattempo, in mancanza di dati positivi, le raccomandazioni riguardanti le strategie terapeutiche per i pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata sono rimaste sostanzialmente immodificate. La Società Americana di Ecocardiografia ha proposto alcune precisazioni riguardanti i criteri per la diagnosi e la valutazione della disfunzione diastolica (56). Le linee guida americane hanno affrontato il tema del trattamento appropriato dei pazienti ricoverati con scompenso cardiaco, che consiste in gran parte nell'opinione degli esperti sull'utilità dell'inizio e del mantenimento delle terapie farmacologiche basate sull'evidenza, se tollerate, durante le fasi di acuzie.
Terapia di resincronizzazione. La terapia di resincronizzazione cardiaca continua a costituire una importante strategia terapeutica per i pazienti con scompenso cardiaco avanzato. L'obiettivo principale della letteratura in questo ambito è stato la ricerca di possibili nuove indicazioni cliniche a questo trattamento. Riportiamo ora i risultati di due importanti studi pubblicati quest'anno su tale argomento. In primo luogo, il follow-up a 24 mesi della coorte europea del trial REVERSE (Resynchronization Reverses Remodeling in Systolic Left Ventricular Dysfunction) ha fornito l'importante dimostrazione di un rimodellamento inverso e di un miglioramento clinico, che facevano parte dell'obiettivo composito dello studio. L'uso della terapia di resincronizzazione determinava un effetto benefico nei pazienti con una FEVS ≤ 40% e una durata del QRS ≥ 120 ms con sintomi di grado moderato (classe funzionale NYHA I e II) (57). La probabilità di un rimodellamento inverso del ventricolo sinistro era maggiore in coloro che non avevano un'eziologia ischemica dello scompenso e in coloro che mostravano un significativo ritardo di conduzione o meccanico. Il trial recentemente pubblicato MADIT-CRT (Multicenter Automatic Defibrillator Implantation Trial with Cardiac Resynchronization Therapy) ha dimostrato un 34% di riduzione del rischio relativo di morte o di riacutizzazioni dello scompenso e un rimodellamento inverso con l'uso della terapia di resincronizzazione oltre che con l'impianto del defibrillatore rispetto all'impianto del solo defibrillatore in 1.820 pazienti con FEVS ≤ 30% e durata del QRS ≥ 130 ms (Figura 1). I benefici erano ampiamente dovuti alla riduzione delle riacutizzazioni, in particolare in coloro che avevano una durata del QRS ≥ 150 ms (58). Questi importanti risultati hanno fatto sì che la terapia di resincronizzazione venga considerata come una strategia standard per il trattamento dei pazienti con significativi ritardi di conduzione nell'ampio spettro possibile di stati funzionali dello scompenso cronico sistolico. Tuttavia, diversamente da quanto accade per la terapia farmacologica, la terapia di resincronizzazione è una strategia invasiva ed economicamente dispendiosa; pertanto, essa potrebbe essere soggetta a ulteriori valutazioni nonostante i già dimostrati benefici clinici e la dimostrata possibilità di determinare un rimodellamento inverso del ventricolo sinistro. Nei mesi a seguire, il dibattito riguarderà i pro e i contro derivanti dall'adottare i criteri di inclusione e di esclusione per l'impianto dei device biventricolari utilizzati nei trial sin qui discussi, rispetto a delle indicazioni più restrittive limitate esclusivamente ai pazienti con un'alta probabilità di risposta alla terapia resincronizzante (per esempio coloro che hanno un'ampia durata del QRS, in particolare quelli con un QRS ≥ 150 ms). Una delle maggiori limitazioni nei trial che hanno valutato la terapia resincronizzante è stata quella di ritenere che, una volta impiantato, il pacemaker biventricolare comportasse un beneficio indipendente dal contesto clinico e dalle modalità di funzionamento dell'apparecchio. L'ottimizzazione della terapia di resincronizzazione è stata ampiamente discussa e testata con tecniche di imaging sofisticate, ma una valutazione di semplici parametri, come la valutazione del corretto posizionamento dei cateteri, l'ottimizzazione della percentuale di stimolazione biventricolare, la diagnosi e il trattamento dell'aritmia sottostante, l'ottimizzazione del ritardo atrio-ventricolare, oltre al trattamento farmacologico appropriato dello scompenso, potrebbero consentire di ottenere un miglioramento in un sottogruppo di pazienti non responsivi alla terapia resincronizzante (59). La capacità delle tecniche di imaging di selezionare i candidati appropriati alla terapia di resincronizzazione e di predire i pazienti responsivi è un concetto interessante che però attualmente non ha ancora avuto una dimostrazione diretta (60).

 


Figura 1. Risultati principali del trial MADIT-CRT
Effetti della terapia di resincronizzazione nello scompenso cardiaco di grado moderato sulla probabilità di sopravvivenza (in alto) e sul rimodellamento inverso (in basso). Pubblicato con il permesso di Moss e coll. (58). CRT: terapia di resincronizzazione cardiaca; ICD: defibrillatore impiantabile; LVEDV: volume telediastolico del ventricolo sinistro; LVESV: volume telesistolico del ventricolo sinistro.
Esercizio fisico nello scompenso cardiaco. La semplice valutazione della resistenza all'esercizio continua a essere un utile strumento prognostico in questa popolazione di pazienti (61), e la mancanza di miglioramento dopo un programma di allenamento predice una cattiva prognosi (62). Tuttavia, i potenziali rischi e benefici di un esercizio fisico intenso sono ancora poco chiari. I pazienti arruolati nel trial HF-ACTION (Heart Failure: A Controlled Trial Investigating Outcomes of Exercise Training) hanno ricevuto delle raccomandazioni per eseguire un esercizio fisico regolare oppure sono stati inclusi in un programma organizzato di tre mesi di ginnastica sotto la guida di un supervisore (40 min, 5 volte a settimana) e successivamente a continuare a casa lo regolare svolgimento di attività aerobiche. Il trial HF-ACTION ha mostrato un effetto neutro del programma di esercizio fisico sugli endpoint combinati di mortalità e ospedalizzazioni per scompenso, ma questa attività si è tradotta in un miglioramento dello stato complessivo di salute in 2.331 soggetti con scompenso sistolico cronico (63,64). I ricercatori hanno analizzato ulteriormente i dati in base allo svolgimento o meno del regime di attività fisica raccomandato e hanno trovato una relazione dose-risposta tra il regolare esercizio aerobico e la prognosi dei pazienti (con un modesto miglioramento nell'endpoint primario comprendente tutte le cause di morte e di ospedalizzazione, hazard ratio: 0,95, intervallo di confidenza al 95%: 0,92-0,98, p = 0,003). Lo studio HF-ACTION fornisce importanti rassicurazioni per i pazienti e per i curanti riguardo alla possibilità di svolgere e di prescrivere una regolare attività fisica. Inoltre, esso fornisce una giustificazione scientifica per il rimborso della riabilitazione cardiaca per questa popolazione di pazienti e sottolinea l'importanza della dura battaglia necessaria per convincere i pazienti ad aderire a questa importante modificazione dello stile di vita.
Nuove scoperte per il trattamento della miocardite. Dopo un decennio di risultati abbastanza deludenti, la diagnosi e il trattamento della miocardite rimangono per lo più empirici. Dopo i progressi nel trattamento di altre malattie virali, la possibilità di ridurre la carica virale miocardica nei pazienti con la cosiddetta persistenza virale è considerata ancora un'ipotesi da dover verificare. Nel trial BICC (Beta-Interferon in Chronic Viral Cardiomyopathy), presentato durante il congresso del 2008 dell'American Heart Association, il trattamento con interferon beta è stato associato a un miglioramento dei sintomi e a una riduzione della carica virale degli adenovirus, enterovirus e/o parvovirus nei campioni di biopsie endomiocardiche di 143 pazienti, rispetto al trattamento con placebo. Tuttavia, non vi erano differenze o modificazioni nella struttura e nella funzione miocardica tra i due gruppi e la terapia con interferone ha dimostrato di essere sicura (65). Dal momento che è stato dimostrato che la persistenza virale è associata a una prognosi peggiore (66), i benefici della terapia antivirale sono ancora oggetto di valutazione, nonostante richiedano una valutazione invasiva e pertanto dei costi elevati. Nel frattempo, un nuovo studio randomizzato suggerisce che, nei pazienti senza evidenza di persistenza virale, la terapia immunosoppressiva potrebbe comportare dei benefici. Nel trial TIMIC (Tailored Immunosuppression in Inflammatory Cardiomyopathy), 85 soggetti con disfunzione cronica sistolica del ventricolo sinistro ed evidenza di infiammazione miocardica in fase attiva sono stati randomizzati a ricevere aziatoprina e prednisone o placebo. L'aggiunta della terapia immunosoppressiva si è associata a un maggior grado di rimodellamento inverso rispetto al placebo aggiunto per almeno 6 mesi alla terapia medica standard (67). Questi dati sono in linea con quelli positivi ottenuti con l'infusione della ciclosporina durante il trattamento percutaneo dell'infarto acuto del miocardio (68) e mostrano l'importanza della risposta immunitaria nella progressione della disfunzione miocardica.
Trattamento dello scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata. Nell'attesissimo trial I-PRESERVE (Irbesartan in Heart Failure with Preserved Ejection Fraction) 4.128 pazienti di età < 60 anni sintomatici con scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata (FEVS ≥ 45%) sono stati randomizzati a ricevere irbesartan o placebo. Questo ampio trial condotto in pazienti già in trattamento non ha dimostrato nessun beneficio incrementale dell'irbesartan relativamente agli endpoint di mortalità e ospedalizzazione per scompenso (69) (Figura 2). I deludenti risultati del trial I-PRESERVE hanno inoltre rafforzato il concetto che lo scompenso a funzione sistolica preservata è una condizione nettamente distinta dallo scompenso sistolico, anche se ciò non è ancora sufficientemente noto.

 


Figura 2. Risultati principali del trial I-PRESERVE
Obiettivo principale di morte per ogni causa o ospedalizzazione per cause cardiache pre-specificate (riacutizzazione dello scompenso cardiaco, infarto del miocardio, ictus, aritmie atriali o ventricolari, o infarto del miocardi o ictus che si verificano durante l’ospedalizzazione per una delle cause precedentemente citate). Pubblicato con il permesso di Massie e coll. (69).
Vasodilatatori polmonari e sistemici. L'espansione delle indicazioni per l'uso degli inibitori della fosfodiesterasi 5 anche nei pazienti moderatamente sintomatici con ipertensione polmonare sono state supportate da diversi studi che hanno mostrato un miglioramento della capacità funzionale e una riduzione delle resistenze vascolari polmonari. Nel frattempo, nei pazienti con ipertensione polmonare associata a scompenso del ventricolo sinistro, è stata osservata la presenza di un assorbimento trans-polmonare normale del peptide natriuretico e un minore rilascio del GMP ciclico. Queste osservazioni suggeriscono un deficit relativo dei mediatori della risposta vasodilatatoria nei pazienti con un aumento delle resistenze vascolari polmonari. Questi risultati inoltre supportano il potenziale beneficio degli inibitori della fosfodiesterasi 5 o dei più nuovi attivatori solubili della guanilato ciclasi (cinaciguat o BAY 58-2667) in combinazione con i donatori di ossido nitrico (70-72). Diversi studi clinici in corso stanno valutando i potenziali benefici terapeutici di questi agenti. Basandosi sulle potenzialità legate all'uso dei peptici vasodilatatori endogeni come potenziali agenti terapeutici, è attualmente in corso di valutazione la relaxina, un ormone della gravidanza prodotto per inibire le contrazioni uterine che facilita l'ammorbidimento e l'allungamento della cervice uterina e della sinfisi pubica durante il parto. In 234 soggetti con normali valori pressori, la somministrazione endovenosa di relaxina ha determinato un rapido e persistente miglioramento della dispnea e un andamento positivo in termini di riduzione del tasso di morti cardiovascolari e riospedalizzazioni per scompenso a 60 giorni (3-10% vs 17%, p = 0,06) e di morti cardiovascolari in un follow-up medio di 4,5 mesi (0-6% vs 14%, p = 0,04) (73). Ulteriori trial di sperimentazione clinica su questo e su altri vasodilatatori endogeni inizieranno tra breve.
Farmaci con azione protettiva a livello renale. Dal momento che il peggioramento della funzionalità renale rappresenta una delle maggiori comorbilità e uno dei maggiori impedimenti per un trattamento efficace dello scompenso cardiaco acuto, la ricerca di agenti con un'azione protettiva a livello renale continua. Quest'anno abbiamo assistito all'approvazione formale del tolvaptan, il primo farmaco somministrabile per os che antagonizza il sistema della vasopressina. Il suo ruolo nel preservare la funzione renale rimane ancora poco chiaro, anche se in certe condizioni il tolvaptan è in grado di migliorare l'iponatremia. Sembra che il tolvaptan generi acquaforesi senza significativi effetti emodinamici (74). Un'altra promettente classe di farmaci è quella degli antagonisti del recettore A1 dell'adenosina. I risultati preliminari dello studio PROTECT (Placebo-controlled Randomized Study of the Selective A1 Adenosine Receptor Antagonist Rolofylline for Patients Hospitalized with Acute Heart Failure and Volume Overload to Assess Treatment Effect on Congestion and Renal Function Trial) sugli effetti della somministrazione endovenosa della rolofillina sono stati presentati all'ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia e non indicano differenze significative nei maggiori endpoint cardiaci e renali tra la rolofillina e il placebo, nonostante un miglioramento dei sintomi in 2.033 soggetti ospedalizzati per scompenso cardiaco (75). In particolare, la rolofillina non riduce l'incidenza di insufficienza renale rispetto al placebo (15% vs 13,7%), mentre ha mostrato una maggiore incidenza di ictus e convulsioni. In futuro lo sviluppo di questa classe di farmaci dovrà affrontare ancora grandi sfide.
Supporto inotropo farmacologico. Il supporto farmacologico per lo scompenso cardiaco in fase terminale (stadio D) rimane un problema ancora irrisolto. Ogni volta che un paziente diventa dipendente dal supporto inotropo, la prognosi è negativa e l' infusione cronica di farmaci inotropi (dobutamina o milrinone) non sembra modificare l'andamento clinico a lungo termine (76). La ricerca di un farmaco vasoattivo sicuro ed efficace continua, e la pubblicazione del trial ESSENTIAL (Studies of Oral Enoximone Therapy in Advanced Heart Failure) sottolinea i problemi che ci sono nello studio di una terapia farmacologica per questa popolazione di pazienti, dal momento che l'enoximone ha avuto un effetto neutro (77). Nel frattempo, nello studio HORIZON-HF (Hemodynamic, Echocardiographic, and Neurohormonal Effects of Istaroxime, a Novel Intravenous Inotropic and Lusitropic Agent: a Randomized Controlled Trial in Patients Hospitalized with Heart Failure), (78) è stato esaminato un altro approccio basato sull'uso di un farmaco chiamato istarossima che inibisce l'attività dell'adenosina trifosfatasi e stimola l'isoforma 2 dell'adenosina trifosfatasi del reticolo sarcoplasmatico. La somministrazione endovenosa dell'istarossima ha comportato un rapido miglioramento emodinamico con una corrispondente riduzione della frequenza cardiaca e un miglioramento degli indici ecocardiografici della funzione diastolica. Tuttavia, come per la maggior parte dei precedenti farmaci vasoattivi, la strada per la sua approvazione è ancora lunga e difficoltosa.
Trattamento chirurgico dello scompenso cardiaco in fase avanzata. La seconda parte del trial STICH (Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure) è stata pubblicata quest'anno (79). Questo studio non ha dimostrato nessun beneficio della ricostruzione ventricolare chirurgica o della tecnica modificata secondo Dor nell'ambito dei pazienti sottoposti a intervento di bypass aorto-coronarico che presentano uno scompenso sistolico (FEVS < 35%) e una disfunzione antero-apicale. Ciò si verifica nonostante una notevole riduzione dei volumi sistolici indicizzati del ventricolo sinistro. Alcuni sostenitori dell'intervento chirurgico di ricostruzione ventricolare potrebbero affermare che vi sia stato un errore di selezione a sfavore di coloro che avrebbero potuto realmente beneficiare di questa procedura, mentre altri ritengono che l'alterata distensibilità diastolica dovuta alla riduzione del volume del ventricolo sinistro potrebbe contribuire al mancato beneficio di questo intervento. Nonostante tutto, questi risultati deludenti giustificano l'uso non routinario dell'intervento di ricostruzione ventricolare sinistra durante l'intervento di bypass aorto-coronarico.
Nuovi dispositivi. Diversi dispositivi che affrontano nuovi concetti di trattamento dello scompenso cardiaco sono stati testati in trial clinici multicentrici. Il trial MOMENTUM (Multicenter Trial of the Orqis Medical Cancion System for the Enhanced Treatment of Heart Failure Unresponsive to Medical Therapy), che è stato pubblicato quest'anno, ha riportato dei risultati sostanzialmente neutri con l'utilizzo di un nuovo dispositivo per il miglioramento della perfusione nel trattamento dello scompenso acuto di grado severo (80). Quest'anno sono stati presentati anche i risultati di uno studio multicentrico sulla sicurezza e l'efficacia di un altro dispositivo impiantabile che rilascia dei segnali elettrici durante il periodo di refrattarietà per migliorare la contrattilità cardiaca. Lo studio FIX-HF-5 (Evaluation of the Safety and Efficacy of the OPTIMIZER System With Active Fixation Leads in Subjects With Heart Failure Resulting From Systolic Dysfunction) ha randomizzato 428 pazienti con scompenso cardiaco avanzato (FEVS < 35% e QRS stretto) all'uso o meno di questo dispositivo in grado di modificare la contrattilità cardiaca (81), e ha trovato che tale dispositivo non era in grado di migliorare la soglia anaerobica, che rappresentava l'obiettivo di efficacia principale dello studio (82). Tuttavia i ricercatori hanno osservato in un gruppo di pazienti meno gravi (classe NYHA III, FEVS > 25%, n = 185) un miglioramento nei parametri di esercizio e nei punteggi sulla qualità della vita (82). Sebbene servano soltanto a generare delle ipotesi, questi risultati sono molto interessanti dal momento che forniscono alcune indicazioni sul fatto che questa modalità di trattamento richiede una certa riserva contrattile per poter ottenere dei miglioramenti della funzione contrattile. Ciò nonostante, bisogna sottolineare come i parametri di esercizio siano spesso degli obiettivi difficili da ottenere nei trial clinici per varie ragioni che non sono peraltro perfettamente note.
Dispositivi di assistenza meccanica e terapia di destinazione. L'approvazione del dispositivo Heart Mate II (Thoratec Corporation, Pleasanton, California) come dispositivo non pulsatile di nuova generazione di assistenza ventricolare ha paventato la necessità di fare dei progressi in questo ambito. Il follow-up a lungo termine dei pazienti trattati mediante Heart Mate II ha fornito dei dati rassicuranti sulla sua sicurezza a lungo termine (83). Tuttavia, è stato osservato un certo rischio di sanguinamenti gastrointestinali e intracranici. La natura non pulsatile di questo supporto circolatorio è stata anche associata allo sviluppo di forme di coagulopatia acquisite in alcuni pazienti (84). Stanno inoltre emergendo dei dispositivi di minori dimensioni, anche se essi sono ancora in una fase precoce di sviluppo in ambito clinico (85,86) e studi pilota in pazienti meno gravi sono in fase di progettazione. Le questioni riguardanti l'appropriata selezione dei pazienti, il rapporto costi-efficacia, il trattamento perioperatorio e il tipo di trattamento dopo la rimozione del dispositivo continueranno ancora a porre importanti problematiche che sono già in corso di valutazione (87,88).
Gestione della malattia. L'aumento dei tassi di riospedalizzazione per scompenso cardiaco che emerge dai rapporti di sanità pubblica è considerato come uno degli indicatori della qualità delle cure e della competenza dei diversi centri (89). È emersa l'ipotesi che molte delle riospedalizzazioni sono prevenibili, e l'American College of Cardiology ha lanciato un'iniziativa che prevede di ridurre il tasso di riospedalizzazioni del 20% entro il 2012 (Campagna dall'ospedale a casa). In molti casi, i tassi di riospedalizzazione possono essere ridotti grazie all'utilizzo di nuovi farmaci e dei dispositivi impiantabili. I modelli in grado di predire le riospedalizzazioni sono generalmente inadeguati dato che spesso essi non tengono conto di molti fattori ambientali e sociali, e non sono sempre in grado di caratterizzare in maniera precisa la severità della malattia e le sottostanti comorbilità (90). Si discute molto su come prevenire le riospedalizzazioni e sugli strumenti appropriati per ottenere ciò. Pertanto, ci manca ancora un sistema per capire perché le riospedalizzazioni si verificano nei singoli pazienti, che potrebbe essere un prerequisito indispensabile per poter ottenere dei miglioramenti in questo campo. Il monitoraggio a lungo termine rimane un'ipotesi affascinante, ma richiede un notevole dispendio di risorse. I dati derivati dai dispositivi invasivi come l'impedenza intratoracica forniscono delle informazioni importanti sulla stabilità clinica o meno dei singoli pazienti (91-93) anche nel contesto dello scompenso diastolico (94). Tuttavia, come accade per tutti gli strumenti diagnostici, gli studi per valutarne l'efficacia sono di difficile progettazione e la corretta interpretazione delle modificazioni dei segnali di impedenza rimane una sfida difficile nella pratica clinica.

CONCLUSIONI

Come si è potuto evincere da questa revisione, l'ultimo anno ha visto compiere progressi entusiasmanti nell'ambito dello scompenso cardiaco. Anche se il trattamento farmacologico e meccanico di base è rimasto in gran parte invariato, le conoscenze acquisite quest'anno grazie alle numerose pubblicazioni saranno molto probabilmente oggetto di future ricerche. Come abbiamo sottolineato, è verosimile che esse si focalizzino soprattutto sulla popolazione in rapida crescita dei pazienti con scompenso cardiaco in fase avanzata, che maggiormente potrebbero beneficiarsi di trattamenti invasivi quali la terapia di resincronizzazione e l'intervento di plastica del ventricolo sinistro, e delle strategie per l'ottimizzazione di queste procedure. Dati i costi sanitari di tali trattamenti, l'appropriatezza di questi interventi terapeutici sarà oggetto di studio e di regolamentazione, e molto probabilmente verranno stabiliti dei parametri funzionali indipendentemente dall'evidenza diretta della loro efficacia. Detto questo, bisogna ricordare che molti approcci diagnostici e terapeutici sono in corso di sviluppo e speriamo di vedere nel prossimo futuro degli importanti sviluppi nella prevenzione dell'insorgenza e della progressione dello scompenso cardiaco.

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E dopo l’anno dell’ipertensione, ecco quello dello Scompenso Cardiaco!
Questa scelta editoriale del JACC , io la trovo veramente carina ed utile: una buona occasione per un aggiornamento monotematico perseguibile in pochi minuti ( ho facilitato la lettura con il grassetto di quello che mi pare interessi maggiormente la Medicina Generale) , ma nello stesso tempo la ricca bibliografia favorisce i più volenterosi o interessati dei miei 25 lettori. a selezionare quanto disponibile nello specifico campo.
Segnalo infine l’opportunità che l’autore offre alla Medicina Generale perché  dia un senso alle affermazioni: “ molte delle riospedalizzazione sono prevedibili”  o “ l’importanza di prevenire lo Scompenso Cardiaco…”; anche il sogno della “ Campagna dell’ospedale a casa” e la sfida dell’appropriatezza ci dovranno vedere protagonisti!
Buona lettura : a piccole dosi non fa così male! 
Enzo Pirrotta