EUROFLAG TODAY

EUROFLAG TODAY

venerdì 27 aprile 2012

Ipertensione e obesità. Come misurare?


Ipertensione nell'obeso: attenzione alla forma del bracciale, non solo alla dimensione

È nota l'importanza delle dimensioni del bracciale nella misurazione della pressione arteriosa (PA), però spesso si trascura il fatto che non è solo una questione di dimensioni, ma anche di forma del bracciale. Infatti, nonostante la configurazione del braccio sia in genere conica, soprattutto nell'obeso, vengono normalmente utilizzati bracciali e camere d'aria rettangolari (fig.1). Si sono posto questo problema alcuni ricercatori di Padova, che hanno studiato 220 soggetti con circonferenza del braccio compresa tra 22 e 42 cm. Tutti avevano una forma troncoconica del braccio e la conicità era in relazione alla circonferenza e alla lunghezza del braccio stesso. In questi soggetti sono state utilizzate 4 differenti camere d'aria cilindriche e troncoconiche di misure appropriate. Nel gruppo con una circonferenza del braccio di 37.5-42.5 cm il bracciale cilindrico sovrastimava la PA, rispetto al bracciale troncoconico, di 2.0+ 0.4/1.8+0.3 mmHg (p=0.001 e <0.001 rispettivamente). Il 15% dei soggetti classificati come ipertesi col bracciale cilindrico non lo era con il bracciale troncoconico (fig.2). Si è arrivati a differenze di 9.7/7.8 mmHg in individui con con braccia molto grosse ed un angolo braccio-avambraccio uguale o inferiore a 83°. Considerato che i dati del National Health and Nutrition Examination Survey 1999-2002 hanno evidenziato che negli US circa 15 milioni di uomini e 10 milioni di donne di età dai 40 ai 59 anni necessitano di un bracciale per obesi, possiamo farci un'idea dei numeri implicati in una sovrastima dell'ipertensione dovuta a bracciali inappropriati. Ricordiamoci dunque che nel nostro armamentario dobbiamo includere anche i bracciali troncoconici, e non solo i bracciali per obesi e per bambini.

Palatini P et al. J Hypertens 2012; 30: 530-536

Screening del tumore della mammella


Mammografia di routine: vantaggi, ma anche 'overdiagnosis'

"The earlier (that cancer is found), the better". Lo screening dei tumori, basato su questo principio, ha contribuito a salvare molte vite umane; ma alcuni studi incominciano ora a mettere in dubbio questa certezza (almeno in tutti i casi valutati). Si sta discutendo sul rischio di overdiagnosis intesa come diagnosi di una condizione clinica che non sarebbe comunque progredita nel tempo fino a determinare la comparsa di sintomi o il decesso.Il rischio di overdiagnosis è stato documentato in programmi di screening per alcuni tipi di tumore, incluso il cancro della mammella. Un recente studio basato su dati raccolti in Norvegia stima che i casi di cancro della mammella diagnosticati in eccesso siano compresi tra il 15% e il 25%. 'La mammografia potrebbe non essere sempre utile nello screening del tumore del seno in quanto non può distinguere tra forme cancerose progressive o non progressive': così afferma Kalager, autore principale dello studio. Infatti i radiologi vengono istruiti a ricercare le più fini lesioni nel tentativo di riconoscere quanti più tumori possibile e permettere così di poterli curare precocemente, ma questo studio dimostra che questa pratica ha creato problemi per molte donne per una diagnosi di tumore mammario che di fatto non avrebbe provocato sintomi o un decesso. Per questo motivo Kalager ipotizza che le donne dovrebbero essere bene informate non solo sui potenziali benefici della mammografia, ma anche sui suoi possibili effetti negativi, quali stress psicologico, biopsie, interventi chirurgici, chemioterapia od ormonoterapia per malattie che non avrebbero causato sintomi. Nello studio sono stati analizzati i dati di 39.888 donne norvegesi che avevano ricevuto una diagnosi di carcinoma mammario invasivo durante i 10 anni di un programma nazionale di screening iniziato nel 1995 (tasso di adesione pari al 77%) e due gruppi storici di confronto, costituiti da donne con diagnosi di carcinoma mammario ricevuto tra il 1986 e il 1995. Se l'esecuzione di routine di una mammografia fosse una pratica sempre favorevole - sostengono i ricercatori - si dovrebbe notare un significativo decremento dei casi di cancro mammario in stadio avanzato; ma ciò non si è riscontrato nelle donne alle quali era stata effettuata una mammografia. Si stima invece che, per ogni 2.500 donne sottoposte all'esame mammografico, circa 2.470 non riceveranno mai una diagnosi di cancro mammario e 2.499 non moriranno mai di carcinoma mammario. In altri termini, su 2.500 donne sottoposte a mammografia, si riuscirebbe a prevenire 1 solo caso di morte per cancro mammario, ma 6-10 donne ricadrebbero in una situazione di sovra-diagnosi. Il problema della overdiagnosis non è facile da affrontare: modificare la soglia per definire una mammografia anormale è fonte di rischi ed adottare un approccio del tipo 'watch and wait' può generare ansie nella donna e timori di accuse di malpractice nel medico. Sussiste comunque una responsabilità etica nel comunicare questo problema alle donne che si sottopongono a screening del tumore della mammella mediante mammografia, senza peraltro generare paure o disorientamento. 

Kalager M et al. Ann Intern Med 2012; 156(7): 491
Elmore JG and Fletcher SW. Ann Intern Med 2012; 156(7): 536

Colesterolo LDL: mito o realtà


Trattamento a livelli target di LDL-C: paradigma da abbandonare?

È in corso l'aggiornamento delle Linee Guida per il trattamento della ipercolesterolemia (ATP IV) che verrà concluso nel corso del 2012 a cura del National Heart Lung and Blood Institute (NHLBI). L'obiettivo è di promuovere una gestione integrata dell'ipercolesterolemia nell'ambito di una riduzione del rischio cardiovascolare globale. La precedente versione delle Linee Guida (ATP III) si basava su una strategia volta al raggiungimento di livelli target di LDL-C a seconda della presenza di un differente grado di rischio cardiovascolare; gli obiettivi del trattamento pertanto facevano riferimento ai valori di LDL-C (quando iniziare la terapia; quali livelli raggiungere).

In una lettera pubblicata recentemente su Circulation Cardiovascular Quality Outcomes Hayward eKrumholz si rivolgono al panel di esperti coinvolti nel 'comitato ATP IV' chiedendo loro di abbandonare il concetto di livelli target di LDL-C quale guida per il trattamento dell'ipercolesterolemia, adducendo 3 buone ragioni per giustificare la loro richiesta
  1. i trial oggi disponibili non offrono una chiara documentazione che tutti i farmaci che migliorano il profilo lipidico sono in grado di ridurre il rischio cardiovascolare; il beneficio è di fatto limitato all'uso delle statine che - come è noto - svolgono molteplici azioni 'pleiotropiche' oltre a ridurre la colesterolemia; i trial quindi evidenziano che è l'uso delle statine, e non il raggiungimento di livelli target di LDL-C, che riduce il rischio cardiovascolare; i livelli di LDL-C possono quindi essere considerati come un indicatore surrogato, al pari di altri parametri quali ad esempio l'eterogeneità delle dimensioni dell'LDL-C o il rapporto colesterolo totale/HDL-C
  2. la safety dei trattamenti con statine a dosi finalizzate al raggiungimento di livelli target di LDL-C non è mai stata dimostrata. Inoltre l'approccio basato su un trattamento a dosi target può portare a curare intensivamente pazienti a basso rischio cardiovascolare; in questi pazienti i benefici si possono osservare solo dopo molti anni di terapia, ma in un lungo periodo i rischi legati alla terapia possono sopravanzare i benefici (infatti le statine rappresentano una classe di farmaci relativamente sicura per un utilizzo di 5-7 anni, ma la sicurezza di impiego per oltre 10 anni non è mai stata accuratamente studiata)
  3. un trattamento personalizzato, individualizzato (per così dire 'ritagliato' sulle caratteristiche del paziente) è più semplice, più sicuro, più efficace e più mirato ad un approccio EBM; invece, il trattamento per raggiungere livelli target di LDL-C è basato su una estrapolazione della EBM e non è mai stato direttamente testato. Recenti simulazioni hanno evidenziato che questo modello di trattamento è deficitario, ciò anche se la riduzione dell'LDL da parte delle statine risultasse essere l'unica azione da esse esercitata (va tra l'altro considerato che nella pratica clinica corrente non viene fatta una misurazione precisa e diretta dell'LDL-C). Queste simulazioni dimostrano che le Linee Guida basate su livelli target di LDL-C possono portare in alcuni casi ad un sottotrattamento(nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare e bassi valori di LDL-C), in altri casi ad unsovratrattamento (nei pazienti a basso rischio ed elevati valori di LDL-C).
È auspicabile, concludono Hayward e Krumholz, proporre un trattamento personalizzato, basando l'intensità della terapia con statine in accordo con il livello di rischio cardiovascolare del paziente a 5-10 anni, indipendentemente dai valori di LDL-C. Questo modello di terapia individualizzato ('taylored') è più aderente alle evidenze dei trial clinici in quanto i livelli di LDL-C non aiutano ad individuare correttamente i pazienti che potranno beneficiare del trattamento con statine. Le Linee Guida ATP IV possono pertanto rappresentare una opportunità per una maggiore aderenza alle evidenze cliniche oggi disponibili sulla riduzione del rischio cardiovascolare mediante farmaci in grado di ridurre le concentrazioni ematiche di lipidi; ciò potrà in prospettiva ridurre i sottotrattamenti ed i sovratrattamenti promuovendo un uso più appropriato delle statine. 

HaywardRA and Krumholz HM. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2012; 5: 2-5

venerdì 6 aprile 2012

DIAGNOSTICA NON UTILE, FORSE DANNOSA

Usa: nel mirino pratiche inutili e da tagliare

Sono almeno 45 le pratiche mediche, diagnostiche e terapeutiche, il cui uso deve essere ridimensionato, con l'obiettivo di eliminare prescrizioni spesso non necessarie. La lista è stata stilata da nove società scientifiche statunitensi e sarà formalizzata in un documento ufficiale a breve. Il presupposto è che l'applicazione di una prestazione non basata sulle evidenze scientifiche non solo contribuisce a fa lievitare i costi sanitari, ma talvolta può danneggiare la salute di un paziente, come per esempio l'esposizione a radiazioni eccessive, nel corso della diagnostica per immagini o le complicazioni di un intervento chirurgico dopo un falso-positivo risultato del test. Molti dei test che si tenterà di disincentivare sono proprio le diagnostiche per immagini, l'Asco, per esempio, chiede agli oncologi di non eseguire la tomografia ad emissione di positroni, la tomografia computerizzata, e la scintigrafia ossea radionuclidi nella stadiazione del cancro alla prostata con un basso rischio di metastasi, poiché non ci sono prove che suggeriscono che tali scansioni migliorare la diagnosi del tumore metastatico o sopravvivenza. Anche l'American college of cardiology invita gli specialisti a evitare l'uso di tecniche sofisticate nei pazienti asintomatici, mentre l'Associazione dei radiologi sta cercando di convincere i propri iscritti a non fare Tac e risonanze per semplici mal di testa. E, sul fronte dei farmaci, l'American gastroenterological association condanna l'uso troppo disinvolto di farmaci contro il reflusso gastroesofageo, un problema presente anche in Italia, dove secondo vari rapporti si abusa degli ace-inibitor

martedì 3 aprile 2012

ASA e Cancro

L’Asa nella prevenzione e nel trattamento del cancro

Acido acetilsalicilico (Asa) e cancro: nuove evidenze pubblicate in una triade di studi, coordinati da Peter Rothwell dell’università di Oxford, supportano un ruolo del farmaco nella riduzione del rischio di alcuni tumori e forse nel trattamento delle metastasi

Tre articoli, pubblicati su Lancet e Lancet Oncology e coordinati da Peter Rothwell dell’università di Oxford, aggiungono nuove evidenze all’ipotesi che l’assunzione giornaliera di acido acetilsalicilico (Asa) possa aiutare nella prevenzione e forse anche nel trattamento del cancro. Nel primo studio sono analizzati i dati individuali di pazienti coinvolti in 51 trial randomizzati di Asa vs non Asa nella prevenzione di eventi vascolari. Nel secondo articolo si è analizzato l'effetto dell'Asa sulle metastasi; i dati sono stati raccolti da 5 grandi trial randomizzati con Asa 75 mg/die o più vs controllo per la prevenzione di eventi vascolari, durante i quali sono stati  diagnosticati i secondarismi. Anche il terzo studio analizza l'effetto dell'Asa sulle metastasi, attraverso una revisione sistematica di trial osservazionali vs trial randomizzati (Rct). Questo confronto è stato effettuato in quanto gli Rct con Asa hanno chiaramente stabilito la riduzione di rischio di ca colorettale (42%), di vari altri tumori solidi e di metastasi, ma non hanno il potere statistico per stabilire gli effetti su forme di cancro meno comuni o che colpiscono le donne.

Il primo studio
Nel primo articolo, gli autori hanno preso in considerazione 51 trial che hanno coinvolto complessivamente oltre 77 mila pazienti. Su una coorte di 69.224 soggetti, l’utilizzo regolare di Asa si è associato a una riduzione della mortalità per cancro del 15% nei primi cinque anni, che è salita al 37% nei trial effettuati su periodi più lunghi. La mortalità complessiva non dovuta a eventi vascolari è scesa del 12%. In sei trial con 35.535 soggetti, l’assunzione quotidiana di piccole dosi di acido acetilsalicilico per almeno tre anni ha comportato una diminuzione del 25% dei casi di cancro nelle donne e del 23% negli uomini. Nell’uso dell’asa, l’effetto benefico nella prevenzione di gravi eventi cardiovascolari è inizialmente controbilanciato da un aumento degli episodi di emorragia, ma entrambi gli effetti si riducono con somministrazioni prolungate, lasciando soltanto una riduzione del rischio di tumori che gli autori hanno calcolato in 3.13 ogni 1000 pazienti all’anno.

Il secondo studioIl secondo studio ha incluso 17.285 persone che sono state seguite per oltre sei anni. L’assunzione di almeno 75 mg di asa al giorno ha avuto un effetto inibitorio nella formazione delle metastasi, che si sono ridotte del 36%. L’effetto più rilevante si è avuto relativamente al rischio di adenocarcinoma metastatico che è stato abbattuto del 46%. Età e sesso non hanno influito sui risultati, mentre i benefici maggiori si sono avuti nel gruppo di fumatori. Un dosaggio basso e una formulazione a lento rilascio, preparata allo scopo di inibire la funzionalità piastrinica ma con scarsa biodisponibilità sistemica è stata altrettanto efficace dell’Asa in alti dosaggi. I risultati suggeriscono che l'acido acetilsalicilico potrebbe aiutare nel trattamento di alcuni tumori e che può essere utilizzato in interventi farmacologici specifici per prevenire le metastasi a distanza.

Il terzo studioIl terzo articolo riporta gli esiti di una revisione sistematica delle pubblicazioni scientifiche che, dal 1950 al 2011, hanno analizzato le associazioni tra Asa e diversi tipi di cancro. Anche in questo caso l’utilizzo regolare dell’Asa ha comportato a un rischio ridotto; in particolare, la probabilità di sviluppare cancro e metastasi nel colon-retto è scesa del 38%. Diminuzioni analoghe si sono osservate nel rischio del tumore esofageo, gastrico, biliare e del seno. Gli effetti più consistenti hanno riguardato i tumori gastrointestinali.

The Lancet, Early Online Publication, 21 March 2012 doi:10.1016/S0140-6736(11)61720-0
The Lancet, Early Online Publication, 21 March 2012 doi:10.1016/S0140-6736(12)60209-8
The Lancet Oncology, Early Online Publication, 21 March 2012 doi:10.1016/S1470-2045(12)70112-2