L’insufficienza cardiaca.
Razionale e evidenze cliniche dell’effetto della terapia antialdosteronica.
Massimo Romano,
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Cardiovascolari e Immunologiche,
Università Federico II di Napoli.
L’insufficienza cardiaca (IC) è una sindrome caratterizzata da estrema severità in termini di mortalità, di qualità di vita e di costi sociali. Nello studio di Framingham il tasso di sopravvivenza a 5 anni di pazienti con scompenso congestizio era inferiore al 50%, peggiore delle neoplasie in generale (1). Ovviamente la mortalità cresce nelle classi NYHA elevate (60% a 1 anno in III-IV) (2). La morte improvvisa prevale nelle classi I-II e la morte da scompenso cardiaco progressivo in III-IV (3). L’avvento in terapia dei farmaci ACE-inibitori ha comportato un enorme progresso nella storia naturale dell’IC. L’aggiunta degli ACE-inibitori alla terapia con digitale e diuretici consiste, oltre che nel prevenire il rimodellamento ventricolare (4), in una riduzione della mortalità, nel post-infarto e in pazienti con IC a etiologia mista (5-8), percentualmente più evidente nelle classi NYHA avanzate con bassa frazione di eiezione (FE) (6) e un ritardato passaggio dalla disfunzione ventricolare sinistra asintomatica alla sindrome congestizia (9). Peraltro gli ACE-inibitori migliorano modestamente la FE (10); il loro beneficio sulla mortalità tende a scomparire dopo 2 anni di trattamento (7); non dimostrano un effetto positivo sulla morte improvvisa in pazienti con scompenso congestizio (7), né migliorano la FE o riducono la mortalità a 4 anni nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra asintomatica (9). In particolare i pazienti più severamente compromessi (NYHA IV) studiati nel CONSENSUS I, ricevendo 40 mg al dì di enalapril in aggiunta a digitale e diuretici mostravano una riduzione del 27% in termini di mortalità. Purtroppo la percentuale di mortalità passava dal 52% a un non certo soddisfacente 36% malgrado l’ACE-inibitore (6). Dall’altro lato i pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e senza scompenso cardiaco congestizio e in I-II classe NYHA mostravano un’assenza di beneficio (0%) nella mortalità a 12 mesi (9).
Per quale motivo gli ACE-inibitori pur dimostrando una svolta epocale nella terapia dell’IC non potevano ritenersi la soluzione definitiva? E’ noto che gli inconvenienti principali della terapia con questi farmaci sono la tosse, l’ipotensione e l’insorgenza di insufficienza renale. In aggiunta vi è da considerare la perdita progressiva di efficacia a distanza. Questo dato è evidente dall’osservazione che nel SOLVD il rischio combinato di mortalità e di ospedalizzazione era –40% dopo 12 mesi e –27% dopo 48 mesi (7).
La produzione di angiotensina II non è legata solo all’enzima ACE, ma anche a una serie di chinasi che vengono a attivarsi a livello di vari tessuti e in particolare a livello miocardico l’angiotensina II può essere prodotta attraverso vie metaboliche non ACE-dipendenti e quindi non influenzabili da parte degli ACE-inibitori. Una possibile spiegazione della perdita di efficacia degli ACE-inibitori potrebbe essere ascritta al cosiddetto fenomeno dell’”escape” dell’aldosterone. Questo fenomeno venne descritto in pazienti ipertesi (11). Malgrado la somministrazione di captopril, fino a dosi di 600 mg/die, si osservava la soppressione dei livelli plasmatici di angiotensina II, mentre l’aldosterone saliva malgrado i dosaggi crescenti di captopril (11). Tale dato è stato confermato nel post-infarto con l’impiego dell’ACE-inibitore zofenopril (12). Che tale incremento dell’aldosterone possa avere un ruolo nella patologia dell’IC lo dimostra l’osservazione che nei pazienti severamente compromessi arruolati nel CONSENSUS-I, malgrado gli alti dosaggi di enalapril somministrati, i pazienti deceduti mostravano valori più elevati di aldosterone rispetto ai sopravvissuti (6). Il fenomeno dell’”escape” durante terapia con ACE-inibitori e diuretici è stato interpretato in vario modo. E’ possibile che, per il blocco prolungato dell’enzima di conversione dell’angiotensina, divenga importante il ruolo di altri meccanismi della biosintesi dell’aldosterone, in particolare l’aumento dell’ACTH, i livelli intracellulari di potassio e magnesio, l’endotelina. Inoltre è importante il ruolo dell’angiotensina tissutale nella regolazione della sintesi dei mineralcorticoidi nella corticale surrenale (13). Infine è stata dimostrata una produzione extrasurrenalica di aldosterone a livello miocardico e vasale (14). Sono numerosi gli effetti dell’aldosterone che possono influenzare negativamente la storia naturale dell’IC. Esso induce il riassorbimento di sodio e acqua a livello del tubulo renale distale con conseguente espansione del volume extravascolare determinando un sovraccarico di volume con conseguente aggravamento delle condizioni emodinamiche e stimolando ulterioramente il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (SRAA). Inoltre l’incremento della pressione venosa, legato all’espansione del volume intravascolare, contribuisce allo sviluppo di congestione e edema. L’aldosterone induce vasocostrizione, con incremento del post-carico, sia per l’aumentata responsività dei vasi all’effetto vasocostrittore dell’angiotensina II che per l’attività di recettori per l’aldosterone e di mRNA che codifica la sintesi dell’enzima chiave della biosintesi dell’ormone mineralcorticoide a livello delle cellule endoteliali e delle cellule muscolari lisce dell’arteria polmonare (15). Di particolare rilevanza clinica è l’effetto dell’aldosterone di aumentare l’escrezione urinaria di potassio e magnesio. L’ipokaliemia e l’ipomagnesemia, particolarmente in pazienti che assumono cronicamente diuretici dell’ansa, possono indurre aritmie atriali e ventricolari e precipitare la morte improvvisa. E’ stato dimostrato il ruolo chiave dell’aldosterone sull’attività profibrotica a livello miocardico (16-17) e vasale (18-19). La fibrosi interstiziale, legata all’attivazione dei fibroblasti, induce un rimodellamento del miocardio con compromissione funzionale del ventricolo sinistro (16-17), mentre a livello dei vasi ne incrementa la rigidità di parete (18-19). Inoltre l’aldosterone di per sé è implicato in danno vascolare diretto (20), disfunzione barocettoriale (21) e previene l’”uptake” della norepinefrina da parte del miocardio (22-23). Non bastando, è noto che la “clearance” epatica dell’ormone è ridotta nei pazienti con IC congestizia, comportando questo livelli sierici più elevati (24).
Lo spironolattone è un antagonista dell’aldosterone (con blanda azione diuretica e in questo ruolo soppiantato dai diuretici dell’ansa), utilizzato in passato prevalentemente come risparmiatore di potassio in pazienti trattati con digitale e diuretici dell’ansa. Alcuni suoi effetti sono indipendenti dall’antagonismo dell’aldosterone. Essi potrebbero essere riferiti alla presenza di un anello lattonico e alla componente steroidea dello spironolattone. Infatti sono riportati: un effetto inotropo positivo, simile a quello della digitale; un aumento del periodo refrattario; una diminuzione dell’efflusso transmembrana del potassio; un aumento di durata del potenziale d’azione, che può spiegare l’effetto cronotropo negativo dello spironolattone (25). Il suo utilizzo era stato progressivamente ridotto sia per il timore dei possibili effetti deleteri sulla funzione renale e il rischio di iperkaliemia in pazienti trattati con ACE-inibitori e essenzialmente per la fiducia che questi ultimi fossero in grado di controllare efficacemente il SRAA. Studi clinici avevano utilizzato insieme spironolattone e ACE-inibitori. In 124 pazienti in II-IV NYHA riceventi spironolattone e captopril era dimostrato un miglioramento di classe NYHA nel 72%, persistente a 3 anni e un beneficio sull’ospedalizzazione (da 5 a 1,5/anno/paziente). Sei pazienti su 124 interrompevano per insufficienza renale (26). Un piccolo studio documentava in pazienti con scompenso “refrattario” a ACE-initori, diuretici e restrizione idrica che l’aggiunta di spironolattone compensava l’80% dei pazienti (27). Due studi documentavano una riduzione delle aritmie ventricolari in pazienti II-III NYHA correlata con un incremento della magnesemia durante aggiunta di spironolattone (22,28).
La preoccupazione che l’aggiunta di spironolattone alla terapia con ACE-inibitori e diuretici potesse indurre iperkaliemia e insufficienza renale fu sostanzialmente annullata dallo studio pilota RALES che ha verificato la tollerabilità di dosi crescenti (25-100 mg) di spironolattone in 214 pazienti in II-IV NYHA (29). Lo studio RALES ha dimostrato in 1663 pazienti con FE <35% e in III-IV NYHA, tutti in terapia con ACE-inibitori e diuretici, con una dose media di 25 mg/die di spironolattone, una riduzione della mortalità del 30% a 24 mesi, sia da morte improvvisa che da peggioramento dell’IC (30). In aggiunta si notava una riduzione delle ospedalizzazioni del 35% legata a un miglioramento dei sintomi legata un miglioramento della classe NYHA nel 41%. A parte una molto spiacevole incidenza di ginecomastia nel 10% dei maschi non vi erano sostanziali inconvenienti legati a iperkaliemia e insufficienza renale (30). Inoltre l’effetto positivo dello spironolattone non era legato ad un effetto diuretico in quanto l’analisi del “sodium retention score” non ha mostrato differenze legate al trattamento. Altri dati positivi venivano dall’effetto benefico dell’antialdosteronico in pazienti in trattamento beta-bloccante. La temuta iperkaliemia si osservava solo nel 2% dei pazienti vs 1% in quelli riceventi placebo (30). Altre osservazioni supportano i dati del RALES. Lo spironolattone, alla dose di 50 mg/die, in aggiunta alla terapia ACE-inibitore-diuretici, migliora la funzione endoteliale, aumenta la attività dell’NO e inibisce la conversione vascolare da Angiotensina I a II in pazienti scompensati già trattati con ACE-inibitori e diuretici in II-III NYHA (31). In pazienti con IC congestizia alti livelli sierici di marcatori di fibrosi cardiaca sono indici di prognosi sfavorevole. Essi diminuiscono sotto trattamento con spironolattone in particolare nei pazienti con i valori più alti e clinicamente compromessi (32). L’aldosterone plasmatico è estratto dal miocardio di soggetti normali e scompensati. Lo spironolattone inibisce l’estrazione dell’aldosterone negli scompensati suggerendo che il farmaco blocca gli effetti nocivi dell’ormone nei pazienti (33). Inoltre in soggetti in II-III classe l’aggiunta dell’antialdosteronico oltre a indurre un miglioramento di sintomi e FE induceva un favorevole equilibrio simpatovagale calcolato con l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (34).
Cosa aspettarsi da un trattamento con antialdosteronici in pazienti in III-IV NYHA?
Un migliore controllo della ritenzione idro-salina, in particolare in pazienti con ipotensione e intolleranti a dosi elevati di ACE-inibitore e diuretici. In particolare appare di estrema utilità clinica il monitoraggio degli elettroliti urinari (Na/K <1, indice di attivazione dell’aldosterone). Per nostra personale esperienza clinica possibilità di ridurre le dosi di diuretico dell’ansa (cosa spesso molto gradita ai pazienti) grazie alla blanda azione diuretica dello spironolattone e all’effetto potenziante della natriuresi con il suo uso a basse dosi (35). Un effetto di protezione contro gli effetti deleteri dell’aldosterone, in termini di fibrosi miocardica, che accelera la corsa verso la morte per scompenso e l’attività elettrica non omogenea (dispersione del QT), ipokaliemia, ipomagnesemia, squilibrio simpatovagale, aritmie e rischio di morte improvvisa. E’ inoltre certo di poter ottenere un effetto additivo con gli effetti benefici della somministrazione di beta-bloccanti che sono già sinergici con gli ACE-inibitori (30). Inoltre la migliore funzione endoteliale e l’incremento dell’attività dell’NO possono essere benefici nel ridurre la vasocostrizione, quindi il post-carico e probabilmente migliorare la tolleranza allo sforzo (36). Quali altri pazienti potrebbero giovarsi dell’antialdosteronico? Dati suggeriscono che anche pazienti con disfunzione endoteliale da aterosclerosi, ipertensione e con disfunzione diastolica legata a fibrosi miocardica e vasale potrebbero giovarsene in un’ottica di lungo periodo. Fatte le ovvie attenzioni ai rischi di insufficienza renale e iperkaliemia resta un problema non trascurabile la presenza di effetti antiandrogeni e la ginecomastia. E’ riportato che i derivati dello spironolattone disponibili in Europa, potassio canrenoato e canrenone possano essere somministrati a dosi più elevate dello spironolattone e con incidenza ridotta di effetti collaterali.
Sostanzialmente quali sono le alternative a un’aggiunta dell’antialdosteronico? In primis la somministrazione di alte dosi di ACE-inibitore. E’ noto che dosi più elevate sono più efficaci (37), se tollerate, cosa non comune in pazienti con insufficienza cardiaca congestizia. Rimane il dato che in un terzo dei pazienti comunque si manifesta un “escape” dell’aldosterone e che l’esperienza del CONSENSUS-I dimostrava una relazione inversa tra aldosterone plasmatico e mortalità in pazienti che ricevevano 40 mg di enalapril (38). L’altra promettente alternativa è quella dell’uso degli inibitori dell’Angiotensina II in aggiunta o come alternativa agli ACE-inibitori. Orbene a parte il rilevante costo/terapia (in assoluto e in rapporto ai costi dell’uso degli antialdosteronici) i dati dei trials dimostrano quanto segue. Questi farmaci inducono raramente ipotensione e insufficienza renale; sono efficaci sui sintomi quanto l’ACE-inibitore (39-40) e la combinazione previene più efficacemente il rimodellamento ventricolare (39). Peraltro mentre l’antialdosteronico induce un importante miglioramento della mortalità (30), in nessuno studio di grandi dimensioni gli inibitori dell’Angiotensina II riducono la mortalità rispetto agli ACE-inibitori, da soli o in aggiunta (39-40) e in particolare se i due trattamenti e l’associazione riducono l’attivazione simpatica (39), l’aldosterone plasmatico diminuisce solo aggiungendo candesartan all’enalapril (39) e solo a 17 settimane mentre risale a 43 settimane. Infine sembra evidente che con gli inibitori dell’Angiotensina II non è da aspettarsi un sinergismo con i beta-bloccanti se non una interazione negativa (40).
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