EUROFLAG TODAY

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martedì 18 dicembre 2012

Novantenni, mortalità predetta dai valori pressori più recenti
 Nei soggetti molto anziani (over 85) sia il trend della pressione arteriosa sistolica (Sbp) nei precedenti 5 anni sia il suo valore attuale contribuiscono in modo indipendente a predire la mortalità generale. Pertanto, nei singoli pazienti, occorre tenere conto di tutte le precedenti rilevazioni pressorie disponibili. È la conclusione di una studio olandese di popolazione condotto nella città di Leida (Leiden-85 plus Study). In questa ricerca, osservazionale prospettica con follow-up avviata nel 1997, è stato valutato il trend della Sbp in un campione di 271 partecipanti (74 uomini e 197 donne) tra gli 85 e i 90 anni e a 90 anni. L'endpoint primario, valutato per oltre 5 anni (in media 3,6 anni) era costituito dalla mortalità generale. Un trend decrescente di Sbp tra gli 85 e i 90 anni (> 2,9 mmHg/anno) è apparso associato a una maggiore mortalità rispetto a un trend costante di Sbp all'età di 90 anni (hazard ratio, Hr: 1,45), indipendentemente dal valore di Sbp a 90 anni. Questo effetto era più marcato nei soggetti istituzionalizzati rispetto a agli anziani che vivevano in modo autonomo (Hr: 1,87 e 1,30, rispettivamente). Dopo un'analisi con applicazione di correzioni, la stima si è però approssimata all'unità (Hr: 1,08). Da sottolineare il fatto che i soggetti di 90 anni con Sbp < 150 mmHg hanno mostrato un rischio di decesso 1,62 volte superiore rispetto ai soggetti con Sbp > 150 mmHg, indipendentemente dal trend di Sbp negli anni pregressi. Questo dato si è dimostrato valido nei soggetti sia in trattamento antipertensivo che senza terapia antipertensiva, così come nei partecipanti con o senza storia di malattia cardiovascolare o non cardiovascolare. In questo caso la stima dell'Hr si è attestata a 1,47.
 J Hypertens, 2013; 31(1):63-70

giovedì 6 dicembre 2012

Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi.
A. Pazienza

Ablazione con catetere per la FA: a chi, perché e...funziona?

Molto interessante e completa una recente review sulle problematiche connesse alla possibilità di utilizzare l'ablazione trans-catetere quale trattamento "definitivo" della Fibrillazione Atriale. Interessante perché si pone delle domande pratiche: a quali pazienti? in che "stadio" della malattia? è cost-effective? Tutti quesiti che rappresentano il core del problema decisionale. Le conclusioni degli AA ed i loro messaggi principali sono così sintetizzabili:
·         non vi è dubbio che la FA rappresenti un importante fattore di rischio per l'ictus

·         il problema è se questo fattore di rischio debba essere controllato o eliminato

·         la scoperta dei potenziali elettrofisiologici che partono dalle vene polmonari e che possono sostenere la FA ha portato alla messa a punto delle metodiche di ablazione

·         l'ablazione è sempre più usata dopo il fallimento dei farmaci antiaritmici, ma la nostra capacità di giudicarne la reale efficacia è ostacolata dalla mancanza di dati a lungo termine

·         lo studio CABANA attualmente in corso, indagando un end point hard come la mortalità dopo ablazione, dovrebbe fornire ulteriori informazioni riguardo al successo di questa procedura (ClinicalTrials.gov accessed 22 Apr 2012).

·         al momento i dati disponibili portano a concludere che l'ablazione determini un beneficio clinico nei pazienti giovani, sintomatici, così come in quelli con insufficienza cardiaca ed obesi

·         ci sono prove che indicano che si tratta di una strategia conveniente

·         le attuali linee guida NICE consigliano di ricorrere all'ablazione solo nei pazienti sintomatici che non hanno risposto ad una adeguata terapia antiaritmica (National Institute for Clinical Excellence. Atrial Fibrillation: The Management of Atrial Fibrillation. NICE Clinical Guideline 36. London: NICE, 2006), ma vi sono anche prove che suggeriscono l'efficacia della metodica quale trattamento iniziale per una FA parossistica (Nielsen JC,et al. A randomized multicenter comparison of radiofrequency ablation and antiarrhythmic drug therapy as first-line treatment in 294 patients with paroxysmal atrial fibrillation. Circulation 2011;124:2369). Se, dimostrata sicura ed efficace in studi a lungo termine, l'ablazione potrà pertanto essere raccomandata sia dopo il fallimento di una adeguata terapia antiaritmica ma anche come scelta preferenziale ed iniziale, condivisa con i pazienti che soffrono di FA parossistica

·         sono necessari studi a lungo termine per confrontare il controllo del ritmo ottenuto con l'ablazione vs il controllo della frequenza ottenuto farmacologicamente

·         se il controllo del ritmo ottenibile con l'ablazione si dimostrasse superiore e conveniente, la strategia di gestione attuale richiederebbe una modificazione significativa.

Messaggi Principali:

·         Il ritmo sinusale è ovviamente preferibile alla FA, in particolare se il paziente è sintomatico

·         come trattamento di scelta nei pazienti altamente sintomatici, è preferibile ed opportuno utilizzare il controllo del ritmo

·         se un paziente è refrattario ad un adeguato trattamento antiaritmico, è opportuno prendere in considerazione l'ablazione transcatetere

·         molti episodi di FA sono asintomatici e possono passare inosservati

·         i giovani pazienti sintomatici con FA parossistica sono attualmente i migliori candidati per l'ablazione con catetere della aritmia

·         il desiderio di interrompere la terapia con warfarin non è un'indicazione per l'ablazione.


Eyre-Brook SN, Rajappan K. Catheter ablation for atrial fibrillation: who, why and does it work? Postgrad Med J 2012; 88: 604-611 doi:10.1136/postgradmedj-2012-130896

Anche in chirurgia ambulatoriale o DH indispensabile stratificare il rischio di TEV

Sempre più di frequente la chirurgia è diventata pratica ambulatoriale o di day hospital. Al momento non esistono dati relativi all'incidenza precoce (a 30 gg dall'intervento) del tromboembolismo venoso (TEV) in questo particolare setting di pazienti. Un recente studio prospettico osservazionale americano ha voluto colmare questa lacuna conoscitiva e per tale motivo, utilizzando l'enorme database dell'American College of Surgeons National Surgical Quality Improvement Program (ACS-NSQIP), ha identificato più di 300.000 pazienti che dal 2005 al 2009 fossero stati sottoposti ad interventi chirurgici ambulatoriali o in DH, con lo scopo di verificare in quanti di questi fosse comparso un episodio di TEV necessitante un intervento terapeutico. Definito con una metodica statistica complessa ma efficace, il peso dei fattori di rischio indipendenti per la comparsa di un TEV era il seguente: gravidanza in corso: adjusted OR 7.80, p = 0.044
cancro attivo: OR 3.66, p = 0.005
età 41-59 anni: OR 1.72, p = 0.008
60 anni o più: OR 2.48, p <0,001
indice di massa corporea 40 kg/m2 o superiore: OR 1.81, p = 0.015
tempo operatorio 120 minuti o più: OR 1.69, p = 0.027
chirurgia artroscopica: OR 5.16, p <0.001
chirurgia interessante la crosse safena: OR 13.20, p <0.001
altra chirurgia venosa: OR 15.61, p <0.001
Gli autori dello studio hanno proposto e validato una scheda di stratificazione del rischio di TEV (vedi Figura 1 acclusa) che, utilizzata per la casistica in questione, ha consentito di verificare la correlazione fra rischio prevedibile e comparsa di episodi clinici. Nella fattispecie il tasso di comparsa di un episodio di TEV (vedi Figura 2) è risultato il seguente: circa 0.05% nei pazienti con un basso rischio calcolato (0-2 punti)
poco più dello 0.1% in quelli con rischio moderato (3-5 punti)
quasi 0.4% nei pazienti con alto rischio (6-10 punti)
oltre l'1% in coloro che avevano un punteggio superiore agli 11 punti.
Risultano ovvie le correlate decisioni terapeutiche da prendere in considerazione.

Pannucci CJ et al. Identifying patients at high risk for venous thromboembolism requiring treatment after outpatient surgery. Ann Surg 2012;255(6):1093-9