Il virus dell’epatite B (HBV) appartiene alla famiglia degli Hepadnaviridae composta da virus che condividono il tropismo per il tessuto epatico, la struttura a DNA e l’organizzazione del loro genoma, una peculiare strategia replicativa e la capacità di dar luogo ad infezioni persistenti.
Alla microscopia elettronica, il virione dell’HBV appare come una particella sferica di 42-nm di diametro (particella di Dane), a doppia parete costituita da un involucro esterno di natura lipoproteica, chiamato envelope e da un rivestimento proteico interno, il capside, che racchiude il DNA virale ed una DNA-polimerasi virus-specifica. Il capside, il genoma virale e la DNA-polimerasi nel loro insieme formano il core o nucleocapside del virione (Fig. 1A).
Nel corso dell’infezione da HBV, oltre alle particelle di Dane, vengono prodotte e rilasciate nel sangue grandi quantità di particelle subvirali incomplete, prive di acido nucleico e quindi non infettive, di 22-nm di diametro e che presentano forma sferica o filamentosa. Tali particelle subvirali, presenti in circolo in quantità assai maggiore rispetto alle particelle virali complete, sono il risultato di un’eccessiva sintesi, da parte del virus, delle proteine dell’envelope (2).
Il genoma dell’HBV, isolato per la prima volta nel 1974 da W. S. Robinson della Standford University School of Medicine, è costituito da una molecola di DNA a doppia elica incompleta, circolare, rilassata e composta da circa 3200 subunità nucleotidiche. Quello dell’HBV è uno dei più piccoli tra i genomi dei virus animali patogeni per l’uomo, ed è da considerarsi uno straordinario esempio di compattezza strutturale ed organizzativa. L’analisi di sequenza dell’HBV-DNA ha, infatti, dimostrato che tutte e quattro le fasi aperte di lettura (Open Reading Frames, ORFs) che lo compongono -pre-S/S, pre-C-C, P e X -, sono sovrapposte l’una all’altra, in modo da utilizzare comuni sequenze nucleotidiche per la trascrizione e la sintesi di proteine che hanno funzione e struttura differente e che sono necessarie sia alla sopravvivenza del virus che alla sua persistenza nell’ospite. L’ORF P comprende, infatti, al suo interno l’intera ORF pre-S/S e porzioni delle ORFs pre-C/C ed X (Fig. 1B) (3).
Delle quattro regioni genomiche che compongono l’HBVDNA, due codificano per proteine strutturali del virus ossia per le proteine che compongono l’envelope ed il nucleocapside virale, mentre le altre due codificano per le proteine funzionali quali la polimerasi virale e la proteina X (4). La regione genomica che codifica per le proteine del rivestimento esterno della particella di Dane è costituita da un’unica ORF che comprende sia il gene S che due altre porzioni geniche che lo precedono e che sono definite pre-S1 e pre-S2 (Fig. 2). Ognuna di queste tre porzioni ha un proprio codone di inizio (start codon) che consente la traduzione del messaggio e, quindi, la sintesi delle tre diverse proteine di superficie, ognuna delle quali definita in base alla grandezza, rispettivamente, Small, Middle e Large (5).
La proteina Small (più comunemente denominata proteina S o HBsAg), è codificata dal gene S ed è presente, nel siero di pazienti infettati, in largo eccesso rispetto alle altre proteine dell’envelope motivo per cui viene anche definita proteina Major. La proteina Middle è codificata dal gene pre-S2, composto dal gene S e dalla sequenza pre-S2 che lo precede. I geni pre-S2 e S sono generalmente coespressi e ciò perché esiste un solo promoter a dirigere la sintesi dei loro trascritti. Infine, la proteina Large è codificata dal gene pre-S1 che si compone delle sequenze geniche pre-S1, pre-S2 ed S e che corrisponde all’intera ORF pre-S/S. E’ il primo start codon di questa regione genomica che dà inizio alla trascrizione dell’mRNA della proteina Large.
Tutte e tre le proteine di superficie contengono, pertanto, una sequenza comune codificata dal gene S. Tale sequenza è altamente immunogenica e possiede un determinante antigenico gruppo specifico, situato in una regione idrofilica tra gli aa 127 e 147, denominato antigene “a”. Verso tale antigene è rivolta la risposta immunologica di tipo umorale che porta alla produzione di anticorpi neutralizzanti anti-HBs e che può essere sia spontanea, nel caso dell’infezione naturale da HBV, che evocata, nel caso della vaccinazione anti-epatite B.
Oltre all’antigene “a” esistono due diverse coppie di determinanti antigenici, tra loro mutualmente esclusive, d/y e w/r, e che danno origine a quattro principali sottotipi (adw, adr, ayw e ayr) (6,7). Tali sottotipi costituiscono le espressioni fenotipiche di distinte varianti del genoma virale, la cui identificazione è di grande importanza sul piano epidemiologico, considerando la loro diversa distribuzione nelle differenti aree geografiche (nell’area mediterranea il sottotipo prevalente è l’ayw).
L’ORF pre-C/C è sede di trascrizione per le proteine del nucleocapside HBcAg (Hepatitis B core Antigen) e HBeAg (Hepatitis B e Antigen). L’analisi della sequenza nucleotidica di tale regione genomica, nel ceppo selvaggio (wild type) del virus, ha rivelato la presenza di due diversi start codon che consento di individuare in essa due ulteriori regioni geniche: il gene C che codifica per HBcAg, ed una regione pre-C, situata a monte del gene C, e che assieme a quest’ultima codifica per una proteina necessaria alla sintesi ed alla secrezione dell’HBeAg (8).
L’HBcAg costituisce la principale componente antigenica strutturale del nucleocapside virale i cui epitopi conformazionali sono in grado di evocare la risposta immunitaria, sia umorale che cellulare, dell’ospite. L’HBeAg, antigene nucleocapsidico non strutturale del virus, è strutturalmente ed antigenicamente diverso dall’HBcAg e non sembra svolgere un ruolo determinante nell’ambito delle attività biologiche e vitali dell’HBV, per cui il suo significato funzione rimane ancora in parte sconosciuto. E’ stato ipotizzato che esso funga da decoy al fine di “distrarre” il sistema immunitario dal vero bersaglio rappresentato dalla cellula epatica infettata, consentendo così la sopravvivenza del virus e la persistenza dell’infezione nell’ospite (9). Il prodotto codificato dal gene P origina dal clivaggio di lunghi trascritti virali (mRNA di 3,5 kb) e si caratterizza per le sue diverse attività biologiche, fra cui quella essenziale alla replicazione del virus e quella che consente il packaging dell’RNA genomico all’interno della primitiva particella core. L’analisi della sequenza dell’ORF P ha dimostrato l’esistenza di quattro distinti domini genici.
Il dominio aminoterminale, definito primase, codifica per la proteina che funge da primer per la sintesi del filamento a polarità negativa del DNA virale. A questo dominio ne segue un secondo che svolge funzione di spacer, e quindi un terzo che codifica per la DNA polimerasi virale, enzima capace di svolgere diverse attività funzionali e per questo, d’importanza fondamentale nel complesso processo replicativo dell’HBV. Tale enzima si comporta, infatti, sia come una DNA-polimerasi DNA-dipendente (quando interviene nella riparazione del filamento a polarità positiva del DNA virale che, nel nucleo dell’epatocita infettato, consente la trasformazione del DNA virale a doppia elica incompleta rilassata in DNA chiuso e superavvolto) che come trascrittasi inversa, funzione indispensabile alla sintesi del DNA virale a partire dall’RNA pregenomico sintetizzato a sua volta dalla RNA polimerasi II della cellula ospite. Infine, il quarto dominio è situato all’estremità carbossiterminale dell’ORF P e codifica per una proteina che svolge attività di ribonucleasi-H (RNasiH) e che serve a degradare l’RNA dalle molecole ibride di DNA-RNA prodotte durante il processo replicativo del virus (10).
L’ORF X codifica per una proteina non strutturale denominata proteina X (HBX) la cui funzione rimane per certi aspetti, ancora, piuttosto enigmatica. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato la capacità di HBX di trans-attivare la trascrizione di numerosi geni virali e cellulari e dati ottenuti da esperimenti condotti con l’hepadnavirus responsabile dell’epatite della marmotta hanno evidenziato che la proteina X svolge un ruolo essenziale alla replicazione virale (11). Inoltre, il genoma dell’HBV presenta, al suo interno, sequenze regolatrici che svolgono funzione di enhancer o di promoter. Il ciclo riproduttivo dell’HBV, così come quello degli altri hepadnavirus, presenta caratteristiche uniche; infatti, pur essendo un virus a DNA, l’HBV replica come un retrovirus poiché, per duplicare il proprio genoma, utilizza come stampo un RNA pregenomico, intermedio, su cui viene poi copiato, per trascrizione inversa, il corrispondente DNA (Fig. 3).
Tutto il processo replicativo può essere suddiviso, in maniera schematica, in tappe corrispondenti alle diverse fasi del ciclo vitale della particella virale: (A) aggancio del virus, mediante siti recettoriali situati all’interno dei domini pre-S1 e pre-S2 alla cellula ospite; (B) penetrazione del virus all’interno della cellula, (C) rilascio del genoma virale e completamento, all’interno del nucleo cellulare, della sintesi del filamento di DNA più corto ed a polarità positiva. Ciò determina la conversione del DNA virale a doppia elica incompleta rilassata in DNA a doppia elica circolare, completa, chiusa covalentemente (cccDNA) e superavvolta (supercoiled DNA) (D) trascrizione ad opera di una RNA polimerasi DNA-dipendente cellulare, del cccDNA virale - che funge da stampo - in forme multiple di RNA genomico, che si distinguono per la diversa lunghezza (trascritti di 3,5, 2,4, 2,1, e 0,8 kb) ed anche per la differente funzione (i trascritti di 3,5 kb sono più lunghi del genoma virale di circa 120 nucleotidi e ciò perchè possiedono delle estremità ridondanti).
Tali trascritti contengono tutte le informazioni genetiche del virione, sia quelle necessarie alla replicazione sia quelle che attengono alla replicazione virale. Nel corso del ciclo riproduttivo del virus, gli RNA di diversa lunghezza migrano in gran parte nel citoplasma cellulare dove vengono utilizzati per la sintesi delle proteine virali, strutturali e non (i trascritti di 3,5 kb vengono tradotti nelle proteine pre-core, core e nella proteina che funge da DNA-polimerasi, mentre i trascritti di 2,4, 2,1 e 0,8 kb, sono tradotti, rispettivamente, nelle proteine pre-S1, pre-S2 e S, e nella proteina X); (E) sintesi di nuovo DNA virale a partire da alcuni dei trascritti di 3,5 kb che fungono da RNA pregenomico. In particolare, l’RNA viene incapsidato con la proteina core, la DNA polimerasi virale e la proteina che funge da primer per la sintesi della catena di DNA a polarità negativa.
Durante la sintesi di tale filamento di DNA, avviene la degradazione dell’RNA pregenomico ad opera della RNasiH, (F) sintesi della catena a polarità positiva del DNA virale, che rimane incompleta ed assemblaggio dei virioni, ed infine (G) rilascio in circolo delle particelle virali. Il complesso e peculiare modo di replicare dell’HBV rende ragione della maggiore variabilità genomica di questo virus rispetto ad altri virus a DNA.
Se si considera, inoltre, che il virus può persistere per decenni nell’organismo di un soggetto con infezione cronica da HBV si comprende come singole mutazioni, sia spontanee - insorte durante la replicazione virale - sia indotte dalla pressione immunologica dell’ospite, possono nel tempo sommarsi e consentire l’emergere di ceppi virali genotipicamente diversi dall’originario ceppo infettante ed il cui peso, nella storia naturale dell’infezione da HBV può essere significativo (12).
L’identificazione di mutazioni nel genoma dell’HBV è stata resa possibile dall’avvento delle tecniche di amplificazione del DNA mediante polymerase chain reaction (PCR) che hanno consentito di individuare varianti virali che presentano particolare rilevanza clinica. Una di queste è quella inizialmente riscontrata in un bambino ita-liano che contrasse l’infezione dalla madre nonostante avesse già sviluppato, a seguito della profilassi vaccinale, anticorpi anti-HBs ad alto titolo (13) e che successivamente fu isolata sia da bambini di altre aree geografiche sottoposti a profilassi passiva ed attiva contro l’HBV (14,15), sia dai trapiantati d’organo dopo profilassi con immunoglobuline.
Tale variante presenta, a carico del dominio gruppo-specifico “a” del gene S, la sostituzione dell’aminoacido glicina in posizione 145 con l’aminoacido arginina. Questa sostituzione porta alla selezione di virus mutante capace di replicare e di eludere l’azione neutralizzante degli anticorpi anti-HBs; infatti, la variazione aminoacidica (Gly > Arg) altera la struttura conformazionale dell’epitopo immunodominante “a”, riducendone od annullandone la capacità di legame con gli anticorpi specifici. Di peculiare interesse clinico ed epidemiologico sono anche le varianti che presentano mutazioni nell’ambito del gene pre-C/C (16, 17). Particolarmente frequenti nei pazienti con infezione cronica e cirrosi HBV-correlata di alcune aree geografiche ad endemia medio-alta per l’infezione da HBV (bacino del Mediterraneo e quindi l’Italia, Africa ed Estremo Oriente), sono le varianti della regione pre-C caratterizzate dall’incapacità di esprimere l’HBeAg.
La mutazione più frequentemente riscontrata nella regione pre-C è rappresentata dalla sostituzione, in corrispondenza del nucleotide 1896, di un’adenina al posto di una guanina (G > A) che comporta la sostituzione del codone 28 (TGG), che nel virus wild type codifica per il triptofano, in uno stop codon traslazionale (TAG) che blocca la trascrizione e quindi la sintesi dell’HBeAg. Per concludere questo breve cenno sulle diverse varianti dell’HBV fino ad ora descritte, è di rilievo citare quella isolata da pazienti in trattamento prolungato con Lamivudina, un escape mutant che presenta una sostituzione aminoacidica a livello del motivo YMDD del gene della DNA polimerasi e che per questo riesce ad eludere l’effetto inibitorio esercitato dal farmaco sulla replicazione virale (18).
Le tecniche di biologia molecolare utilizzate in diagnostica clinica per mettere in evidenza il DNA virale sono essenzialmente di due tipi: (A) tecniche di ibridizzazione diretta dell’HBV-DNA sierico - ne è un esempio la classica dot blot descritta all’inizio degli anni ‘80 (19) -, e (B) tecniche più recenti che sfruttano sistemi di amplificazione del segnale, quale la metodica del Branched DNA, o di amplificazione del DNA, come le metodiche basate sulla reazione polimerasica a catena (PCR) che raggiungono il massimo grado di sensibilità. I due tipi di tecniche differiscono enormemente nella capacità di rilevare il DNA virale nei campioni biologici. Per dare un’idea del differente grado di sensibilità di queste tecniche, è utile ricordare che la metodica della dot blot, in condizioni ottimali ed in mano ad operatori esperti, consente di individuare concentrazioni di DNA virale non inferiori a 0,1 pg/ml (HBV-DNA clonato), valore, questo, che nella nostra esperienza corrisponde ad una concentrazione di HBV pari a circa 50.000 copie/ml quando viene ad essere utilizzato il kit “Amplicor HBV Monitor” della Roche che si basa sulla tecnica della PCR (20). La scelta della metodica biomolecolare da utilizzare per l’identificazione, a scopo diagnostico, della viremia da HBV dipende, essenzialmente, dal tipo di informazione che si vuole ottenere. L’amplificazione mediante PCR consente, infatti, di individuare nel siero di soggetti HBsAg positivi concentrazioni anche bassissime di DNA virale circolante, pur se questo non necessariamente implica danno epatico HBV indotto in questi pazienti. Dal punto di vista della pratica clinico/diagnostica quotidiana, ci pare utile adottare uno schema che distingua i soggetti HBsAg positivi in base allo status antigenico/anticorpale dell’HBe ed all’andamento della viremia.
L’HBeAg può essere presente sia in fase acuta che cronica di malattia. In caso di epatite acuta, la ricerca del DNA virale finalizzata ad accertare il ruolo eziologico dell’HBV ha un ruolo relativo, in quanto i livelli di viremia possono essere bassi ed addirittura non individuabili con le tecniche di ibridizzazione diretta, poichè la fase viremica precede quella sintomatica. In questi casi è certamente molto utile la ricerca delle IgM antiHBc. I pazienti HBeAg positivi con infezione cronica presentano nella quasi totalità dei casi una viremia costantemente elevata e valori di centinaia di migliaia o milioni di copie virali per ml. In questi casi l’HBV-DNA è facilmente rivelato dai test di ibridizzazione diretta, mentre le più sensibili tecniche di amplificazione diventano utili quando si vogliano valutare variazioni nel tempo della carica virale, come ad esempio in caso di monitoraggio terapeutico.
I pazienti HBsAg/anti-HBe positivi - che rappresentano ormai la grande maggioranza dei casi di epatite cronica B nella nostra area geografica - costituiscono un gruppo eterogeneo di soggetti che possono essere distinti in diverse categorie.
Innanzitutto vi sono soggetti nei quali i livelli di HBVDNA serico si mantengono quasi costantemente a valori tali da essere identificati con i test di ibridizzazione diretta e sono quindi assimilabili ai pazienti HBeAg positivi. Vi sono poi pazienti in cui l’attività replicativa del virus è soppressa in maniera persistente e, quindi, presentano viremia molto bassa ed individuabile solo con le più sensibili tecniche di PCR.
A questa categoria appartengono gran parte dei pazienti con sovrainfezione da virus Delta [per il quale la specifica capacità di inibire la replicazione dell’HBV è stata ampiamente dimostrata (21)] e la maggioranza dei pazienti con coinfezione da virus dell’epatite C (HCV). Quest’ultimo gruppo di pazienti, tuttavia, è stato sino ad ora studiato in maniera non completa, e se una parte della letteratura propende per un effetto inibitore dell’HCV sull’attività dell’HBV o anche per la reciproca inibizione dei due virus in caso di coinfezione (22), altri dati suggeriscono che queste interferenze possano essere meno importanti di quanto si creda e che le viremie dei due virus possano fluttuare nel tempo (23). Il periodico monitoraggio dei livelli serici dell’HBV-DNA e dell’HCV-RNA potrebbe quindi essere utile al fine di avere valide informazioni relative all’attività dei due virus e, quindi, alla loro effettiva reciproca responsabilità nella malattia. Bisogna ancora ricordare che nel gruppo di pazienti HBsAg/anti-HBe positivi con apparente soppressione della replicazione virale afferiscono i cosiddetti portatori cronici asintomatici di HBsAg.
Allo stato attuale delle conoscenze questo è il gruppo più numeroso di pazienti con infezione da HBV ed è quello che, probabilmente, merita la maggiore attenzione dal punto di vista diagnostico. A questa categoria di pazienti appartengono coloro i quali presentano una reale e costante inibizione della replicazione virale, con HBV-DNA negativo nel tempo - quando indagato mediante tecniche di ibridizzazione diretta - e persistente normalità degli indici di funzionalità epatica. Questi soggetti sono i veri portatori sani di HBV. Esiste, tuttavia, una categoria di pazienti che a fasi più o meno lunghe di apparente quiescenza dell’infezione, alternano periodi di riattivazione virologica e clinica spesso del tutto privi di sintomatologia soggettiva. Questi pazienti debbono essere identificati e seguiti nel tempo per consentire di diagnosticare precocemente quegli episodi di riattivazione che, oltre a potere sfociare in epatite fulminante, accelerano l’evoluzione della malattia cronica epatica verso la cirrosi e l’epatocarcinoma. Infine è da ricordare che le tecniche di biologia molecolare hanno acquisito un ruolo centrale nel follow-up del paziente in trattamento antivirale.
grazie!
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