Focus
Ancora su diuretici e complicazioni metaboliche
Le Linee Guida americane raccomandano da più di 40 anni l'utilizzo dei diuretici tiazidici o simil-tiazidici come primo step nella terapia dell'ipertensione arteriosa (IA), ma queste raccomandazioni non riscontrano un consenso unanime, soprattutto in Europa, per la loro possibilità di provocare iperglicemia, iperlipemia, iperuricemia, ipercalcemia, ipokaliemia. Ora qualcosa si muove anche per gli americani: Hypertension, rivista ufficiale dell'AHA, ha recentemente pubblicato i risultati di due trials in doppio cieco, placebo controllati, crossover che hanno confrontato 4 settimane di terapia con amiloride vs due tipi di diuretici tiazidici in pazienti ipertesi, avendo come end point primario la curva da carico di glucosio. E la loro conclusione principale è stata che i tiazidici vs placebo hanno un significativo effetto iperglicemizzante, causato principalmente dall'ipokaliemia (p < 0.0001). L'effetto non si è visto, a parità di abbassamento della pressione, con l'amiloride (che anzi sembra controbilanciare l'effetto negativo dei tiazidici), né con il nebivololo, testato anch'esso nello studio. In base a questi risultati, gli AA terminano raccomandando negli ipertesi l'utilizzo dell'amiloride, da sola o in associazione ai tiazidici per limitarne i danni. L'articolo è accompagnato da un editoriale, che ne evidenzia alcune limitazioni:- gli studi sono piccoli e durano troppo poco tempo (4 settimane; nulla quindi ci dicono sugli effetti a lungo termine dei diuretici, e vari trials dimostrano che il rischio assoluto di insorgenza di diabete nei pazienti ipertesi trattati con tiazidici è piuttosto basso (<1% per anno)
- utilizzando per la diagnosi di diabete il test da carico di glucosio (secondo le indicazioni dell'American Diabetes Association si dovrebbe utilizzare l'emoglobina glicata), potrebbe crearsi un bias, perché col test da carico di glucosio si potrebbe semplicemente evidenziare un diabete chimico, non sovrapponibile, in termini di clinica e di prognosi, al diabete "vero"
- c'è poi la questione "clortalidone", che è considerato un simil tiazidico, ma che in importantissimi trials (MRFIT per tutti) ha dimostrato minori effetti dell'HCZ sul glucosio e sul potassio e migliori outcomes cardiovascolari.
Stears AJ. Hypertension 2012; 59: 934-942Elliot WJ. Hypertension 2012; 59: 911-912 (editorial)
L'aspirina riduce il rischio di metastasi a distanza (specie negli adenocarcinomi)
Numerosi studi sperimentali su animali e di tipo osservazionale nell'uomo, condotti negli anni passati, hanno documentato un possibile effetto protettivo dell'aspirina su determinati tipi di tumore, dati confermati anche da successive ricerche che peraltro erano state impostate per valutare l'efficacia profilattica dell'ASA su end points cardiovascolari. Questi studi avevano evidenziato una riduzione della morte cancro-correlata di oltre il 40% a partire dai 5 anni successivi all'inizio del trattamento ed ancora maggiore per certi tipi di cancro anche dopo 20 anni di follow-up. Un recente studio meta-analitico ha voluto verificare se l'utilizzo dell'aspirina potesse essere favorevole sugli outcomes oncologici attraverso una riduzione della metastatizzazione, ciò sulla scorta di precedenti ipotesi in questo senso formulate sulla base di studi, tanto su animali quanto sull'uomo, che tuttavia non erano stati ritenuti metodologicamente corretti per la presenza di numerosi bias. Sono stati pertanto utilizzati i dati derivanti da 5 trials nei quali l'ASA era stata utilizzata in prevenzione primaria o secondaria a posologia > 75 mg/die. La Tabella e le numerose Figure accluse sintetizzano i risultati della metanalisi che possono essere così riassunti- nel corso del follow-up (mediamente di 6.2 anni), è stato diagnosticato un tumore in 987 degli oltre 17.000 pazienti reclutati nei vari studi
- in coloro che erano nel braccio di terapia con ASA si è osservata una ridotta metastatizzazione a distanza (HR per tutti i tumori 0.64, 95% CI 0.48-0.84, p = 0.001), principalmente correlata ad una riduzione della diffusione tumorale a distanza degli adenocarcinomi (HR 0.54, IC 95% 0.38-0.77, p = 0.0007) rispetto agli altri tumori solidi (HR 0.82, 95% CI 0.53 -1.28, p = 0.39) ed alla loro diffusione loco-regionale (OR 0.52, 95% CI 0.35-0.75, p = 0.0006)
- la riduzione del rischio di metastatizzazione degli adenocarcinomi era presente tanto al momento della diagnosi iniziale (HR 0.69, 95% CI 0.50 -0.95, p = 0.02), quanto nel periodo di follow-up di quei pazienti che inizialmente non avevano metastasi (HR 0.69, 95% CI 0.50 -0.95, p = 0.02)
- tale riduzione era particolarmente evidente nei pazienti con cancro colorettale (HR 0.26, 95% CI 0.11-0.57, p = 0.0008) ed in coloro che hanno proseguito il trattamento con ASA anche dopo la diagnosi di tumore (HR 0.31, 95% CI 0.15-0.62, p = 0.0009)
- il trattamento con ASA ha ridotto la morte cancro-correlata nei pazienti con adenocarcinoma, in particolare in quelli che alla diagnosi non avevano metastasi (HR 0.50, 95% CI 0.34 -0.74, p = 0.0006); la riduzione di mortalità non si è invece osservata per gli altri tipi di cancro (HR 1.06, 95% CI 0.84-1.32, p = 0.64), con una significativa differenza rispetto agli adenocarcinomi (p = 0.003)
- questi effetti benefici sono risultati indipendenti dall'età e dal sesso, ma erano maggiori nei soggetti fumatori; inoltre dosi minori hanno avuto effetti similari rispetto a quelli ottenuti con posologie elevate.
Rothwell PM et al. Effect of daily aspirin on risk of cancer metastasis: a study of incident cancers during randomised controlled trials. outline goes here. The Lancet 2012; 379 (9826): 1591 - 1601
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