DISFUNZIONE ERETTILE E RISCHIO CARDIOLOGICO
Massimo Romano
Medicina Interna I,
Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II
Napoli
La sessualità è un aspetto essenziale dell’essere umano, dello “star bene” e della qualità di vita. Infatti alcuni studi longitudinali di varia durata hanno dimostrato una relazione inversa tra attività sessuale e rischio di morte (1).
La risposta cardiovascolare al coito e il rischio di un evento cardiaco acuto connesso all’attività sessuale è di importanza clinica, specialmente ora che è disponibile un trattamento farmacologico efficace della disfunzione erettile che permette a soggetti anche molto anziani (2) e/o con patologie disabilitanti come il diabete mellito e la malattia vascolare aterosclerotica, di recuperare una vita sessuale attiva.
Per la maggioranza dei pazienti, l’attività sessuale in un contesto famaliare e monogamo pone un rischio coronarico modesto. Benché il rischio relativo di infarto miocardico è aumentato durante e entro 2 h dopo il rapporto sessuale, il rischio assoluto rimane modesto. Il costo metabolico e emodinamico dell’attività sessuale, come di ogni alterazione del ritmo cardiaco osservata durante il rapporto sessuale, sono generalmente consistenti con quelle dell’attività quotidiana e in genere inferiori al test massimale da sforzo, benché esista una grande variabilità individuale (1). Drory ha dimostrato che tutti i soggetti da lui studiati e che erano negativi per ischemia al test da sforzo non dimostravano ischemia all’ecg dinamico durante rapporto sessuale (3). L’Autore concludeva che se un paziente può ottenere una capacità lavorativa di circa 5-6 METS (stimati; pari a circa 60-75 Watt/min) senza dimostrare ischemia durante test da sforzo, allora il rischio durante attività sessuale è molto basso. Questo purché in un contesto familiare con partner abituale e senza lo stress di un pasto pesante e alcoolici (1).
Tutto questo si verifica in una parte dei soggetti con disfunzione erettile. In una buona parte dei casi l’attività sessuale è svolta con aspettativa di soggetto e partner di elevata soddisfazione con impegno fisico e emotivo, spesso protratto e in alcuni casi dopo pasti copiosi e alcool. Di tutto ciò è opportuno che il Cardiologo tenga conto nel valutare la storia clinica, le aspettative del soggetto e nell’intepretazione dei dati ottenuti negli esami praticati.
Proprio per questo l’osservazione di un soggetto che viene valutato per DE deve tener conto delle relazioni note e emergenti tra questa patologia e malattie cardiovascolari.
La DE è associata con gli stessi fattori di rischio dell’aterosclerosi sistemica. In particolare la DE e la disfunzione endoteliale sono entrambe mediate da una perdita di Ossido Nitrico (NO). I farmaci inibitori PDE5 controbattono la perdita di disponibilità di NO. E’ infatti noto come i farmaci utilizzati nella DE hanno una potenziale e talora pratica utilizzazione in patologie con disfunzione endoteliale come l’ipertensione polmonare, lo scompenso cardiaco, l’aterosclerosi e il diabete mellito (4). E’ inoltre noto che la presenza di disfunzione endoteliale predice complicanze cliniche dell’aterosclerosi con una ben più elevata incidenza di eventi cardiovascolari (4).
Occorre ben considerare che pazienti giunti all’osservazione per DE spesso hanno frequentemente iperlipidemia. HDL-C e rapporto TC/HDL-C sono predittori di DE e a alto rischio per sviluppare coronaropatia (5).
Inoltre è stato osservato come pazienti con DE (rispetto ai controlli) avevano valori più elevati di PCR ; una funzione endoteliale alterata (valutata con vasolilatazione dell’arteria brachiale) ; e una maggiore frequenza di calcificazioni coronariche (valutate con TC) (6).
Una DE moderato-severa, ma non lieve, è associata con un rischio aumentao di eventi cardiovascolari maggiori e ictus a 10 anni (7).
Infine una considerevole proporzione (9/47 or 19%) di pazienti con DE di origine vascolare erano affetti da una coronaropatia silente (8).
Proprio per orientare la valutazione clinica di pazienti con DE è stata pubblicata la “Second Princeton Consensus Conference” che divide i soggetti con DE, in rapporto ala presenza di fattori di rischio e di una storia di eventi cardiovascolari e alle condizioni cliniche, in “Alto rischio, rischio ridotto e intermedio”. E’ opportuno che queste Linee Guida, che sostanzialmente rispecchiano il buon senso clinico, siano utilizzate anche in ottica di salvaguardia da problematiche medico-legali (9).
1. Drory Y , European Heart Journal Supplements (2002) 4 (Supplement H), H13–H18.
2. Stein RA Am J Cardiol 2000;86(suppl):27F–29F.
3. Drory Y et al, Am J Cardiol 1995; 75: 835–7.
4. Ganz P, Am J Cardiol 2005;96[suppl]:8M–12M.
5. Roumeguere T et al, European Urology 44 (2003) 355–359.
6. Chiurlia E et al, J Am Coll Cardiol 2005;46:1503– 6.
7. Ponholzer A et al, European Urology 48 (2005) 512–518.
8. Vlachopoulos C et al, European Urology 48 (2005) 996–1003.
9. Kostis JB et al, Am J Cardiol 2005;96:313–321.
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