EUROFLAG TODAY

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domenica 20 novembre 2011

A proposito di Evidence-based Medicine e Pratica Clinica

Sono abbastanza vecchio da essere cresciuto nel mondo della Medicina Clinica e di essermi dovuto tuffare nell'Evidence-Based Medicine. 

E tante volte ragionare per mettere insieme l'individualismo clinico di Odisseo e l'assolutismo scientifico di Odissea nello spazio. 

Sicuramente conciliare i due mondi non è semplice e ragionare coi giovani medici formati ai quiz a risposta multipla e alle linee guida non è impresa da poco. 

Credo che conoscere la Medicina sia impresa notevole e che non si può essere bravi
medici se soltanto empirici collezionisti di aneddoti ma anche solo formati alle Linee Guida e alle presentazioni Power-Point. 

Porto con me tanti casi clinici e "pearls and pitfalls" cui sicuramente attinge il mio cervello pur sforzandomi di trovare se il mio Paziente è assimilabile o meno alle Linee Guida.

Insomma se l'Uomo è ciò che mangia il Buon Senso Clinico sta nel mettere insieme tutte le informazioni e le emozioni e farne il miglior uso possibile.

Opposizione, Posti di Governo, Markette e Dolore

Io sono stato sempre all'opposizione. Per eredità per censo per scopare tra potenti o fare le markette alla vecchia padrona o per leccare i piedi o fare la spia i posti di governo sono stati sempre occupati.
Anzi i potenti odiano e negano le persone intelligenti. Quindi gli intelligenti o via o devono contare meno di stupidi passa carte o di topi grassi che vivono dei resti.


A forza di prendere botte in testa per voler far bene e di non poter parlare neanche perché idioti hanno comprato o ereditato il diritto al monopolio del pensiero e dopo aver lottato pagando il prezzo più alto ora dovrei per non soffrire più non fare alcunché. Che è l'unico modo per non soffrire. 


Però non sono ancora morto e i vecchi campioni spesso riservano grosse sorprese. E poi non mi arrendo. Mai.

martedì 8 novembre 2011

Il Problema

«Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi.»Bertrand Russel

mercoledì 26 ottobre 2011

Mortalità e anti-diabetici orali.

Mortalità per tutte le cause ed aumentato rischio CV con i secretagoghi dell'insulina vs metformina
In un recente studio collaborativo danese sono stati esaminati la mortalità per qualsiasi causa ed il rischio cardiovascolare (mortalità CV, endpoint composito di IMA, ictus e mortalità CV) associati all'utilizzo dei secretagoghi dell'insulina (IS) in monoterapia, confrontati con quelli della sola metformina, in una popolazione di 107.806 diabetici seguiti fino a 9 anni (mediana 3.3 anni) differenziati fra di loro a seconda che avessero (9.607) o no (98.199) avuto un IMA. I risultati, sintetizzati nelle due Tabelle e nelle due Figure accluse, dei vari IS nei confronti dell'utilizzo della sola meformina sono stati i seguenti
  • HR per mortalità per tutte le cause nei pazienti senza precedente IMA
    • 1.32 (1.24-1.40) per glimepiride (Amaryl, Solosa)
    • 1.27 (1.17-1.38) per glipizide (Minidiab)
    • 1.19 (1.11-1.28) per glibenclamide (Daonil, Euglucon, Gliben, Gliboral)
    • 1.05 (0.94-1.16) per glicazide (Diamicron, Diabrezide, Diazid)
    • 0.97 (0.81-1.15) per repaglinide (Novonorm)
  • HR per mortalità per tutte le cause nei pazienti con precedente IMA
    • 1.50 (1.23-1.89) per glipizide (Minidiab)
    • 1.47 (1.22-1.76) per glibenclamide (Daonil, Euglucon, Gliben, Gliboral)
    • 1.30 (1.11-1.44) per glimepiride (Amaryl, Solosa)
    • 1.29 (0.86-1.94) per repaglinide (Novonorm)
    • 0.90 (0.68-1.20) per glicazide (Diamicron, Diabrezide, Diazid)
  • da rimarcare che l'HR per glicazide e glimepiride non raggiungeva la significatività statistica tanto nei pazienti senza, che in quelli con precedente IMA
  • andamento del tutto simile per la mortalità CV e per l'endpoint composito.
Gli AA concludono pertanto che, ad eccezione della glicazide (Diamicon, Diabrezide, Diazid) e della repaglinide (Novonorm), l'utilizzo di tutti gli altri IS - rispetto all'utilizzo della metformina - è gravato da un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause e da un aumentato rischio CV. 

Schramm TK et al. Mortality and cardiovascular risk associated with different insulin secretagogues compared with metformin in type 2 diabetes, with or without a previous myocardial infarction: a nationwide study. Eur Heart J 2011; 32(15): 1900-8

Clortalidone vs HCTZ


Diuretici ed ipertensione

Di particolare interesse pratico è la messa a punto recentemente apparsa sul Journal of Clinical Hypertension circa l'utilizzo dei diuretici nel trattamento dell'ipertensione. L'articolo riporta con una serie di raccomandazioni che vengono di seguito riportate sinteticamente e che dovrebbero essere sempre tenute a mente
    1. i diuretici possono essere efficacemente combinati con tutte le classi di farmaci antiipertensivi
    2. se li si vuole utilizzare in monoterapia come farmaci di prima linea per l'ipertensione occorre ricordare che gli studi disponibili fanno riferimento ai soli diuretici tiazidici, non essendovi dei dati consolidati per i diuretici dell'ansa (a proposito dei quali va segnalato che la furosemide per os può avere un assorbimento estremamente irregolare, con una gamma di biodisponibilità variabile dal 12 al 112%, a differenza di bumetanide e soprattutto di torasemide - farmaci che hanno un assorbimento molto più prevedibile)
    3. fra i tiazidici è comunque notevole la differenza fra clortalidone e idroclortiazide sia in termini di "potenza" (25 mg di clortalidone determinano riduzioni pressorie - specie notturne - maggiori di 50 mg di idroclortiazide), che di farmacocinetica e farmacodinamica
    4. i risultati clinici che consentono di paragonare l'efficacia dei tiazidici con le altre classi di farmaci anti-ipertensivi nel trattamento in prima linea dell'ipertensione fanno riferimento al clortalidone che nello Studio ALLHAT ha dimostrato efficacia comparabile con quella dell'amlodipina, lisinopril e doxazosina, tanto nei confronti dell'outcome primario quanto della mortalità
    5. non bisogna dimenticare i segnalati effetti collaterali dei tiazidici che, seppure ben tollerati,  possono determinare alterazioni metaboliche nell'ambito glucidico e purinico e squilibri  idroelettrolitici
    6. il costo di questi farmaci è molto contenuto
    7. i diuretici dell'ansa - furosemide in particolare - non devono essere utilizzati come terapia di prima linea dell'ipertensione ma lasciati per quelle situazioni cliniche caratterizzate da sovraccarico idrico.
Sica DA. Thiazide and Loop Diuretics J Clin Hypertens2011; 13: 639-643 

L'idroclorotiazide nell'ipertensione ha molti nemici

Messerli non è mai stato amico dei tiazidici, in particolare dell'idroclorotiazide (HCTZ); ne è testimone una lunga serie di metanalisi pubblicate da lui e dal suo gruppo. Ancora recentemente sull'American Journal of Medicine egli compie un escursus su mezzo secolo di utilizzo dell'HCTZ, molecola che nel 2008 negli US è stata prescritta in 47,8 milioni di pezzi da sola e in 87.1 milioni di pezzi in combinazione. Ma non c'è evidenza che ai dosaggi generalmente utilizzati (12,5 - 25 mg) riduca l'infarto del miocardio, lo stroke, la morte. In una metanalisi di 19 trials randomizzati con oltre 1.400 pazienti arruolati, la diminuzione della pressione nelle 24 ore con HCTZ è stata inferiore agli ACEI, ai sartani, ai betabloccanti (BB) e ai calcioantagonisti (CCB) (p<0,001 per tutti). Vedi Figura. Anche in combinazione con un ACEI si è visto che riduce la morbilità e la mortalità meno che con un CCB, come dimostra lo studio ACCOMPLISH, interrotto prematuramente perché l'associazione Benazepril/Amlodipina otteneva una riduzione della morbilità-mortalità del 20% in più rispetto all'associazione Benazepril/HCTZ. Messerli assume un atteggiamento spietato: conclude dicendo che siccome a quei dosaggi (12,5-25 mg) il risultato è molto modesto e la compliance è scarsa, l'HCTZ non è indicata nel primo trattamento dell'ipertensione. E per rincarare la dose fa una netta distinzione tra i cosiddetti tiazidici. Il clortalidone è nettamente superiore all'HCTZ: infatti nel MRFIT ha ottenuto una riduzione del 58% della mortalità cardiovascolare (a differenza dell'HCTZ, che invece ha ottenuto il 46% in più di mortalità cardiovascolare) e nell'ALLHAT, tanto sbandierato a favore dei diuretici, è stato utilizzato il clortalidone. Quindi, altra conclusione di Messerli, se vogliamo usare un diuretico almeno usiamo il clortalidone. 

Messerli FH. The American Journal of Medicine 2011; 124: 896-899


mercoledì 14 settembre 2011

Napoli

I napolitani sono da sempre avvezzi a grandi contrasti. A crudeltà, al sole, a miserie, al mare, a meschinità e alla pizza. Il napolitano convive con gli escrementi etc e con cose belle. Solitamente le cose belle non le vede. Se ne vanta.

Napoli

I napolitani sono da sempre avvezzi a grandi contrasti. A crudeltà, al sole, a miserie, al mare, a meschinità e alla pizza. Il napolitano convive con gli escrementi etc e con cose belle. Solitamente le cose belle non le vede. Se ne vanta.

domenica 11 settembre 2011

HO SEMPRE AMATO LA VITA

Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. ( Oriana Fallaci)

sabato 10 settembre 2011

Short-stepping gait in severe heart failure

Heart J 1992;55:469-72
Short-stepping gait in severe heart failure
S W Davies, C A Greig, S L Jordan, D W Grieve, D P Lipkin
Abstract
Background-Patients with severe
chronic heart failure seem to take shorter
steps than healthy controls when walking
on a treadmill and when walking freely
along a corridor. In healthy individuals
the pattern of walking affects the oxygen
cost of exercise, and so this observation
might be relevant to the limitation of
exercise in heart failure.
Method-Length of stride was analysed
as stride/stature index in 15 controls, 10
patients with moderate heart failure,
10 patients with severe heart failure, and
10 patients with angina, walking at a
constant speed/stature index.
Results-The stride/stature index was
0-64 in the controls in patients with New
York Heart Association (NYHA) class II
heart failure, and in patients with angina.
It was 0 49 in patients with NYHA class III
heart failure. In the patients with heart
failure the stride/stature index correlated
with exercise capacity determined
as peak oxygen consumption
VO2max (R = + 062, p < 0-005). When
healthy controls walked in time to a,
metronome adjusted to decrease their
stride/stature index to approximately
that seen in severe heart failure steadystate
oxygen consumption increased by a
mean of 15%.
Conclusions-The length of stride is
reduced in severe heart failure, and when
healthy controls adopt this gait the
oxygen cost of walking is increased. A
short-stepping gait may contribute to the
limitation of exercise capacity in heart
failure.
(Br Heart J 1992;68:469-72)

lunedì 29 agosto 2011

DISFUNZIONE ERETTILE E RISCHIO CARDIOLOGICO

DISFUNZIONE ERETTILE E RISCHIO CARDIOLOGICO
Massimo Romano

     La sessualità è un aspetto essenziale dell’essere umano, dello “star bene” e della qualità di vita. Infatti alcuni studi longitudinali di varia durata hanno dimostrato una relazione inversa tra attività sessuale e rischio di morte (1).
         La risposta cardiovascolare al coito e il rischio di un evento cardiaco acuto connesso all’attività sessuale è di importanza clinica, specialmente ora che è disponibile un trattamento farmacologico efficace della disfunzione erettile che permette a soggetti anche molto anziani (2) e/o con patologie disabilitanti come il diabete mellito e la malattia vascolare aterosclerotica, di recuperare una vita sessuale attiva.
Per la maggioranza dei pazienti, l’attività sessuale in un contesto famaliare e monogamo pone un rischio coronarico modesto. Benché il rischio relativo di infarto miocardico è aumentato durante e entro 2 h dopo il rapporto sessuale, il rischio assoluto rimane modesto. Il costo metabolico e emodinamico dell’attività sessuale, come di ogni alterazione del ritmo cardiaco osservata durante il rapporto sessuale, sono generalmente consistenti con quelle dell’attività quotidiana e in genere inferiori al test massimale da sforzo, benché esista una grande variabilità individuale (1). Drory ha dimostrato che tutti i soggetti da lui studiati e che erano negativi per ischemia al test da sforzo non dimostravano ischemia all’ecg dinamico durante rapporto sessuale (3). L’Autore concludeva che se un paziente può ottenere una capacità lavorativa di circa 5-6 METS (stimati; pari a circa 60-75 Watt/min) senza dimostrare ischemia durante test da sforzo, allora il rischio durante attività sessuale è molto basso. Questo purché in un contesto familiare con partner abituale e senza lo stress di un pasto pesante e alcoolici (1).
Tutto questo si verifica in una parte dei soggetti con disfunzione erettile. In una buona parte dei casi l’attività sessuale è svolta con aspettativa di soggetto e partner di elevata soddisfazione con impegno fisico e emotivo, spesso protratto e in alcuni casi dopo pasti copiosi e alcool. Di tutto ciò è opportuno che il Cardiologo tenga conto nel valutare la storia clinica, le aspettative del soggetto e nell’intepretazione dei dati ottenuti negli esami praticati. 
Proprio per questo l’osservazione di un soggetto che viene valutato per DE deve tener conto delle relazioni note e emergenti tra questa patologia e malattie cardiovascolari.
La DE è associata con gli stessi fattori di rischio dell’aterosclerosi sistemica. In particolare la DE e la disfunzione endoteliale sono entrambe mediate da una perdita di Ossido Nitrico (NO). I farmaci inibitori PDE5 controbattono la perdita di disponibilità di NO. E’ infatti noto come i farmaci utilizzati nella DE hanno una potenziale e talora pratica utilizzazione in patologie con disfunzione endoteliale come l’ipertensione polmonare, lo scompenso cardiaco, l’aterosclerosi e il diabete mellito (4). E’ inoltre noto che la presenza di disfunzione endoteliale predice complicanze cliniche dell’aterosclerosi con una ben più elevata incidenza di eventi cardiovascolari (4).
Occorre ben considerare che pazienti giunti all’osservazione per DE spesso hanno frequentemente iperlipidemia. HDL-C e rapporto TC/HDL-C sono predittori di DE e a alto rischio per sviluppare coronaropatia (5).
Inoltre è stato osservato come pazienti con DE (rispetto ai controlli) avevano valori più elevati di PCR ; una funzione endoteliale alterata (valutata con vasolilatazione dell’arteria brachiale) ; e una maggiore frequenza di calcificazioni coronariche (valutate con TC) (6).
Una DE moderato-severa, ma non lieve, è associata con un rischio aumentao di eventi cardiovascolari maggiori e ictus a 10 anni (7).
Infine una considerevole proporzione (9/47 or 19%) di pazienti con DE di origine vascolare erano affetti da una coronaropatia silente (8).
Proprio per orientare la valutazione clinica di pazienti con DE è stata pubblicata la “Second Princeton Consensus Conference” che divide i soggetti con DE, in rapporto ala presenza di fattori di rischio e di una storia di eventi cardiovascolari e alle condizioni cliniche, in “Alto rischio, rischio ridotto e intermedio”. E’ opportuno che queste Linee Guida, che sostanzialmente rispecchiano il buon senso clinico, siano utilizzate anche in ottica di salvaguardia da problematiche medico-legali (9).

1. Drory Y , European Heart Journal Supplements (2002) 4 (Supplement H), H13–H18.
2. Stein RA Am J Cardiol 2000;86(suppl):27F–29F.
3. Drory Y et al, Am J Cardiol 1995; 75: 835–7.

4. Ganz P, Am J Cardiol 2005;96[suppl]:8M–12M.
5. Roumeguere T et al, European Urology 44 (2003) 355–359.
6. Chiurlia E et al, J Am Coll Cardiol 2005;46:1503– 6.
7. Ponholzer A et al,  European Urology 48 (2005) 512–518.
8. Vlachopoulos C et al, European Urology 48 (2005) 996–1003.
9. Kostis JB et al, Am J Cardiol 2005;96:313–321.

















lunedì 22 agosto 2011

Anti-Oxidant Therapy and Cancer

Free Radic Res. 2011 Aug 11. [Epub ahead of print]

Redox biology of the intestine.

Abstract

Abstract The intestinal tract, known for its capability for self-renew, represents the first barrier of defense between the organism and its luminal environment. The thiol/disulfide redox systems comprising the glutathione/glutathione disulfide (GSH/GSSG), cysteine/cystine (Cys/CySS) and reduced and oxidized thioredoxin (Trx/TrxSS) redox couples play important roles in preserving tissue redox homeostasis, metabolic functions, and cellular integrity. Control of the thiol-disulfide status at the luminal surface is essential for maintaining mucus fluidity and absorption of nutrients, and protection against chemical-induced oxidant injury. Within intestinal cells, these redox couples preserve an environment that supports physiological processes and orchestrates networks of enzymatic reactions against oxidative stress. In this review, we focus on the intestinal redox and antioxidant systems, their subcellular compartmentation, redox signaling and epithelial turnover, and contribution of luminal microbiota, key aspects that are relevant to understanding redox-dependent processes in gut biology with implications for degenerative digestive disorders, such as inflammation and cancer
Drugs. 2011 Jul 30;71(11):1385-96. doi: 10.2165/11592590-000000000-00000.

Cellular redox pathways as a therapeutic target in the treatment of cancer.

Source

Department of Internal Medicine, University of Miami Sylvester Comprehensive Cancer Center, Miami, FL, USA.

Abstract

The vulnerability of some cancer cells to oxidative signals is a therapeutic target for the rational design of new anticancer agents. In addition to their well characterized effects on cell division, many cytotoxic anticancer agents can induce oxidative stress by modulating levels of reactive oxygen species (ROS) such as the superoxide anion radical, hydrogen peroxide and hydroxyl radicals. Tumour cells are particularly sensitive to oxidative stress as they typically have persistently higher levels of ROS than normal cells due to the dysregulation of redox balance that develops in cancer cells in response to increased intracellular production of ROS or depletion of antioxidant proteins. In addition, excess ROS levels potentially contribute to oncogenesis by the mediation of oxidative DNA damage. There are several anticancer agents in development that target cellular redox regulation. The overall cellular redox state is regulated by three systems that modulate cellular redox status by counteracting free radicals and ROS, or by reversing the formation of disulfides; two of these are dependent on glutathione and the third on thioredoxin. Drugs targeting S-glutathionylation have direct anticancer effects via cell signalling pathways and inhibition of DNA repair, and have an impact on a wide range of signalling pathways. Of these agents, NOV-002 and canfosfamide have been assessed in phase III trials, while a number of others are undergoing evaluation in early phase clinical trials. Alternatively, agents including PX-12, dimesna and motexafin gadolinium are being developed to target thioredoxin, which is overexpressed in many human tumours, and this overexpression is associated with aggressive tumour growth and poorer clinical outcomes. Finally, arsenic derivatives have demonstrated antitumour activity including antiproliferative and apoptogenic effects on cancer cells by pro-oxidant mechanisms, and the induction of high levels of oxidative stress and apoptosis by an as yet undefined mechanism. In this article we review anticancer drugs currently in development that target cellular redox activity to treat cancer.
Tumori. 2011 May-Jun;97(3):290-5. doi: 10.1700/912.10024.

The interaction between antioxidant status and cervical cancer: a case control study.

Source

Department of Radiation Oncology, Ege University Faculty of Medicine, Bornova, Izmir, Turkey. senem.demirci@ege.edu.tr

Abstract

AIMS AND BACKGROUND:

To compare the antioxidant status of cervical cancer patients with healthy controls and to assess the antioxidant levels before and after radiotherapy or radiochemotherapy.

METHODS AND STUDY DESIGN:

Antioxidant levels (glutathione, glutathione peroxidase, superoxide dismutase, and malondialdehyde) were measured in 35 patients with cervical cancer and 35 age-matched healthy controls. Blood samples were collected twice (before and after treatment) from cervical cancer patients and once from healthy control subjects.

RESULTS:

In the patient group, pre-radiotherapy glutathione and glutathione peroxidase levels were significantly lower (P <0.01 and P <0.0001, respectively) than the control group. Pre-radiotherapy levels of superoxide dismutase were significantly higher in cancer patients (P <0.01). In general, no difference was observed between pre- and post-radiotherapy antioxidant levels in cancer patients. However, when post-radiotherapy glutathione levels were analyzed, patients who did not respond to treatment had significantly higher levels than those who did respond (P <0.01).

CONCLUSIONS:

Levels of antioxidants significantly differed between the patients with cervical cancer and the controls, and no change in antioxidant levels was observed after treatment. Moreover, further studies evaluating the predictive value of glutathione levels on treatment response are warranted
Mutat Res. 2011 Jul 14. [Epub ahead of print]

Plasma antioxidant enzymes and clastogenic factors as possible biomarkers of colorectal cancer risk.

Source

Department of Pharmacology, University of Bologna, Via Irnerio 48, 40126 Bologna, Italy.

Abstract

Oxidative damage plays an important role in the pathogenesis of colorectal (CR) cancer. This study investigated the activities of antioxidant enzymes superoxide dismutase (SOD), catalase (CAT), glutathione reductase (GR), and glutathione-S-transferase (GST) in plasma of 82 participants of a screening program for CR cancer prevention (30 females and 52 males; age 50-70 years). All subjects resulted positive to fecal occult blood test and were subsequently classified, according to the colonoscopy and histological findings, in patients with CR cancer, patients with colorectal polyps or controls. Furthermore, the activity of clastogenic factors (CFs) in plasma from study population was measured as the ability of inducing micronuclei (MN) in vitro in peripheral of a healthy donor. CAT and GR activities were significantly lower in CR cancer patients compared to controls (P<0.05) and polyps groups (P<0.05). SOD activity was significantly higher in patients with CR cancer than in polyp (P<0.05) and control (P<0.05) groups. GST activity was not significantly different in plasma of the three groups. An increase of CFs induction was observed in plasma of CR cancer patients (MN: 8.89±3.42) with respect to control (MN: 6.37±0.96 P<0.05). These results can contribute to define plasma biomarkers associated to oxidative stress damage that could predictive of CR cancer risk
J Toxicol. 2011;2011:467305. Epub 2011 Jun 26.

Research strategies in the study of the pro-oxidant nature of polyphenol nutraceuticals.

Source

Department of Biology, Stern College for Women, Yeshiva University, 245 Lexington Avenue, New York, NY 10016, USA.

Abstract

Polyphenols of phytochemicals are thought to exhibit chemopreventive effects against cancer. These plant-derived antioxidant polyphenols have a dual nature, also acting as pro-oxidants, generating reactive oxygen species (ROS), and causing oxidative stress. When studying the overall cytotoxicity of polyphenols, research strategies need to distinguish the cytotoxic component derived from the polyphenol per se from that derived from the generated ROS. Such strategies include (a) identifying hallmarks of oxidative damage, such as depletion of intracellular glutathione and lipid peroxidation, (b) classical manipulations, such as polyphenol exposures in the absence and presence of antioxidant enzymes (i.e., catalase and superoxide dismutase) and of antioxidants (e.g., glutathione and N-acetylcysteine) and cotreatments with glutathione depleters, and (c) more recent manipulations, such as divalent cobalt and pyruvate to scavenge ROS. Attention also must be directed to the influence of iron and copper ions and to the level of polyphenols, which mediate oxidative stress.
Indian J Clin Biochem. 2010 Jul;25(3):225-43. Epub 2010 Sep 3.

Reconvene and reconnect the antioxidant hypothesis in human health and disease.

Abstract

The antioxidants are essential molecules in human system but are not miracle molecules. They are neither performance enhancers nor can prevent or cure diseases when taken in excess. Their supplemental value is debateable. In fact, many high quality clinical trials on antioxidant supplement have shown no effect or adverse outcomes ranging from morbidity to all cause mortality. Several Chochrane Meta-analysis and Markov Model techniques, which are presently best available statistical models to derive conclusive answers for comparing large number of trials, support these claims. Nevertheless none of these statistical techniques are flawless. Hence, more efforts are needed to develop perfect statistical model to analyze the pooled data and further double blind, placebo controlled interventional clinical trials, which are gold standard, should be implicitly conducted to get explicit answers. Superoxide dismutase (SOD), glutathione peroxidase and catalase are termed as primary antioxidants as these scavenge superoxide anion and hydrogen peroxide. All these three enzymes are inducible enzymes, thereby inherently meaning that body increases or decreases their activity as per requirement. Hence there is no need to attempt to manipulate their activity nor have such efforts been clinically useful. SOD administration has been tried in some conditions especially in cancer and myocardial infarction but has largely failed, probably because SOD is a large molecule and can not cross cell membrane. The dietary antioxidants, including nutrient antioxidants are chain breaking antioxidants and in tandem with enzyme antioxidants temper the reactive oxygen species (ROS) and reactive nitrogen species (RNS) within physiological limits. Since body is able to regulate its own requirements of enzyme antioxidants, the diet must provide adequate quantity of non-enzymic antioxidants to meet the normal requirements and provide protection in exigent condition. So far, there is no evidence that human tissues ever experience the torrent of reactive species and that in chronic conditions with mildly enhanced generation of reactive species, the body can meet them squarely if antioxidants defense system in tissues is biochemically optimized. We are not yet certain about optimal levels of antioxidants in tissues. Two ways have been used to assess them: first by dietary intake and second by measuring plasma levels. Lately determination of plasma/serum level of antioxidants is considered better index for diagnostic and prognostic purposes. The recommended levels for vitamin A, E and C and beta carotene are 2.2-2.8 μmol/l; 27.5-30 μmol/l; 40-50 μmol/l and 0.4-0.5 μmol/l, respectively. The requirement and recommended blood levels of other dietary antioxidants are not established. The resolved issues are (1) essential to scavenge excess of radical species (2) participants in redox homeostasis (3) selective antioxidants activity against radical species (4) there is no universal antioxidant and 5) therapeutic value in case of deficiency. The overarching issues are (1) therapeutic value as adjuvant therapy in management of diseases (2) supplemental value in developing population (3) selective interactivity of antioxidant in different tissues and on different substrates (4) quantitative contribution in redox balance (5) mechanisms of adverse action on excess supplementation (6) advantages and disadvantages of prooxidant behavior of antioxidants (7) behavior in cohorts with polymorphic differences (8) interaction and intervention in radiotherapy, diabetes and diabetic complications and cardiovascular diseases (9) preventive behavior in neurological disorders (10) benefits of non-nutrient dietary antioxidants (11) markers to assess optimized antioxidants status (12) assessment of benefits of supplementation in alcoholics and heavy smokers. The unresolved and intriguing issues are (1) many compounds such as vitamin A and many others possessing both antioxidant and non-antioxidant properties contribute to both the activities in vivo or exclusively only to non-antioxidant activity and (2) since human tissues do not experience the surge of FR, whether there is any need to develop stronger synthetic antioxidants. Theoretically such antioxidants may do more harm than good.
Free Radic Biol Med. 2011 Aug 1;51(3):681-7. Epub 2011 May 30.

Anti-cancer effect of pharmacologic ascorbate and its interaction with supplementary parenteral glutathione in preclinical cancer models.

Source

Program in Integrative Medicine, University of Kansas Medical Center, Kansas City, KS 66160, USA.

Abstract

Two popular complementary, alternative, and integrative medicine therapies, high-dose intravenous ascorbic acid (AA) and intravenous glutathione (GSH), are often coadministered to cancer patients with unclear efficacy and drug-drug interaction. In this study we provide the first survey evidence for clinical use of iv GSH with iv AA. To address questions of efficacy and drug-drug interaction, we tested 10 cancer cell lines with AA, GSH, and their combination. The results showed that pharmacologic AA induced cytotoxicity in all tested cancer cells, with IC(50) less than 4 mM, a concentration easily achievable in humans. GSH reduced cytotoxicity by 10-95% by attenuating AA-induced H(2)O(2) production. Treatment in mouse pancreatic cancer xenografts showed that intraperitoneal AA at 4 g/kg daily reduced tumor volume by 42%. Addition of intraperitoneal GSH inhibited the AA-induced tumor volume reduction. Although all treatments (AA, GSH, and AA+GSH) improved survival rate, AA+GSH inhibited the cytotoxic effect of AA alone and failed to provide further survival benefit. These data confirm the pro-oxidative anti-cancer mechanism of pharmacologic AA and suggest that AA and GSH administered together provide no additional benefit compared with AA alone. There is an antagonism between ascorbate and glutathione in treating cancer, and therefore iv AA and iv GSH should not be coadministered to cancer patients on the same day
J Pharmacol Exp Ther. 2011 Jun 6. [Epub ahead of print]

Oxidative stress mediates through apoptosis the anticancer effect of phospho-NSAIDs: Implications for the role of oxidative stress in the action of anticancer agents.

Source

1 Stony Brook University;

Abstract

We assessed the relationship between oxidative stress, cytokinetic parameters and tumor growth in response to the novel phospho-NSAIDs, agents with significant anticancer effects in preclinical models. Compared to controls, in SW480 colon and MCF-7 breast cancer cells, phospho-sulindac, phospho-aspirin, phospho-flurbiprofen, and phospho-ibuprofen (P-I) increased the levels of reactive oxygen and nitrogen species (RONS) and decreased glutathione levels and thioredoxin reductase activity, whereas the conventional chemotherapeutic drugs (CCDs) 5-fluorouracil (5-FU), irinotecan, oxaliplatin, chlorambucil, taxol and vincristine did not. In both cell lines, phospho-NSAIDs induced apoptosis and inhibited cell proliferation much more potently than CCDs. We then treated nude mice bearing SW480 xenografts with P-I or 5-FU that had opposite effect on RONS in vitro. Compared to controls, P-I markedly suppressed xenograft growth, induced apoptosis in the xenografts (8.9±2.7 vs. 19.5±3.0), inhibited cell proliferation (52.6±5.58 vs. 25.8±7.71) and increased urinary F2-isoprostane levels (10.7±3.3 vs. 17.9±2.2 ng/mg creatinine), a marker of oxidative stress; all differences were statistically significant. 5-FU's effects on tumor growth, apoptosis, proliferation and F2-isoprostane were not statistically significant. F2-isoprostane levels correlated with the induction of apoptosis and the inhibition of cell growth. P-I induced oxidative stress only in the tumors and its apoptotic effect was restricted to xenografts. Our data show that phospho-NSAIDs act against cancer through a mechanism distinct from that of various CCDs; underscore the critical role of oxidative stress in their effect; and indicate that pathways leading to oxidative stress may be useful targets for anticancer strategiesA

Successo tecnico dell'Occidente

" I MORTI SE NE VANNO PER LA LORO STRADA, TU VORRESTI CHIAMARLI, MA LORO SI ALLONTANANO IN UNA NERA NUVOLA DI FACCE, DI ANIME.
ESCONO FUMIGANDO DALLE CIMINIERE DELLO STERMINIO, E TI LASCIANO NELLA LIMPIDA LUCE DEL SUCCESSO STORICO -
IL SUCCESSO TECNICO DELL'OCCIDENTE".

HERZOG, S. Bellow

mercoledì 17 agosto 2011

Il Mercato di Dio

    Il saggio Philippe Simonnot esplora l' aspetto economico dei monoteismi Il ciclo Le Chiese nascono come sette poi cercano lo scudo del potere statale

    Le fedi come le aziende aspirano al monopolio

    Ma la devozione si affievolisce senza concorrenza Alle origini Nel momento in cui va sul mercato una religione deve apparire nuova per attrarre i suoi potenziali «clienti»


    I n principio fu Adam Smith con il suo celeberrimo trattato di economia politica La ricchezza delle nazioni (1776). Il filosofo economista scozzese per primo analizzò la Chiesa come un' entità economica e applicò ad essa le categorie che traeva dalla propria disciplina, in particolare quella di monopolio, cioè quel regime che inevitabilmente produce un aumento del prezzo e un abbassamento della qualità per il solo fatto che il mercato non è stimolato dalla concorrenza. Discorso che vale anche per la Chiesa. Una religione «ben costituita», secondo il padre fondatore dell' economia politica, non sfugge alla regola: il prezzo del «prodotto» è più elevato e la sua qualità minore di quel che sarebbero se ci fosse libera competizione. Di più. In genere il clero «non ha altra risorsa che rivolgersi al magistrato civile perché persegua, distrugga o scacci i suoi avversari come disturbatori della pace pubblica». Fu così, osserva Adam Smith, «che il clero cattolico romano si rivolse al magistrato civile per perseguitare i protestanti; la Chiesa d' Inghilterra per incalzare i dissidenti; e che in generale ogni setta religiosa, una volta goduta per uno o due secoli la sicurezza di una istituzione legale, si è trovata incapace di difendersi efficacemente contro qualsiasi nuova setta decisa ad attaccare la sua dottrina o disciplina». È da questo passo che prende le mosse un libro assai interessante di Philippe Simonnot, Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam che, nella buona traduzione di Giuliano Gasparri, l' editore Fazi si accinge a mandare in libreria di qui a qualche giorno. Nella prefazione al volume, Marco Aime avverte che l' approccio «per nulla scontato» di Simonnot può comportare accuse di vilipendio o addirittura di blasfemia che però l' autore - pur procedendo sul terreno scivoloso di un' analisi solo e soltanto economica della genesi e del consolidamento delle tre grandi religioni monoteiste del mondo mediterraneo - ha saputo evitare stando bene attento a non cedere mai al gusto della provocazione. «A scanso di equivoci», scrive Simonnot, «qui non si tratta affatto di pretendere di spiegare la religione attraverso l' economia, né di riciclare le teorie dell' oppio dei popoli, ma più modestamente di mettere a disposizione della scienza religiosa gli strumenti dell' analisi economica». Un po' quel che, in campo sociologico, fece August Comte nell' Ottocento. Senza aver la pretesa, ovviamente, di paragonare Comte a Simonnot. E se L' etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber ha esaminato l' incidenza della religione sull' economia o la dottrina economica implicitamente o esplicitamente sottesa a una credenza, «almeno altrettanto istruttivo», afferma l' autore, «è studiare l' economia propriamente detta della religione, ossia prendere la religione come un qualcosa suscettibile di analisi economica». Così la religione viene presentata come un' «azienda» che offre «beni di credenza», la cui qualità si basa sulla fiducia riposta in chi li produce dal momento che il risultato della pratica religiosa - cioè la salvezza eterna - non è, per sua natura, né verificabile né falsificabile. E poiché il «valore» di un bene di credenza riposa interamente sulla credibilità del suo fornitore, se ne può dedurre «che difficilmente quest' ultimo tollererà la presenza di un concorrente rivale, il quale vorrà per forza mettere in dubbio la sua credibilità per affermare la propria». Ad un tempo, per entrare nel «mercato», una religione «deve apparire come molto nuova, naturalmente, per attrarre nuovi "clienti", ma anche molto antica, per rassicurarli, dato che la longevità sembra essere una garanzia di qualità di questo ramo... Così il cristianesimo del I secolo, pur essendo nuovo, ha sostenuto la propria anteriorità rispetto all' ebraismo, ricollegandosi direttamente ad Abramo; e l' islam ha fatto esattamente la stessa cosa sei secoli più tardi». Ma perché Simonnot si concentra in questo libro sui tre monoteismi venuti da Abramo? «Quel che colpisce subito uno sguardo privo di pregiudizi», risponde lui stesso, «è che un Dio unico funziona più facilmente da mediatore finanziario per coloro che lo servono rispetto a una moltitudine di Dei che si fanno concorrenza. In primo luogo perché il Dio unico permette di risolvere più facilmente il problema centrale di ogni religione, cioè quello della sua credibilità. Certo il Dio che appare nella Bibbia si mostra spesso crudele, terribile, parziale e geloso, ma è meno imprevedibile, più affidabile degli Dei capricciosi e immorali che si trovano nello stesso momento sul "mercato". Forse era ragionevole offrire di tanto in tanto agli altari pagani dei sacrifici di cui i sacerdoti prendevano una parte, ma si poteva scegliere tra molte divinità e, se non si otteneva ciò che si desiderava, si poteva cambiare culto. Nel monoteismo, invece, si ha a che fare sempre con lo stesso Dio. Un Dio, per giunta, universale, il cui sguardo vi può seguire dappertutto sulla terra... Per di più gli Dei non sembrano preoccuparsi degli affari umani se non in funzione dei propri interessi, mentre il Dio della Bibbia si occupa del suo popolo in modo costante». Ma veniamo all' analisi specifica di Simonnot. A suo dire si applica bene alla religione la legge di Metcalf (da Robert Metcalf, un imprenditore statunitense, inventore di Ethernet, secondo il quale il valore di una rete di computer cresce in proporzione all' aumento dei computer connessi): il valore che un consumatore attribuisce a un bene - nel nostro caso un credo religioso - dipende anche dal numero di utenti di questo bene: una religione ha tanto più «valore» per il credente, è cioè tanto più credibile, quanto più grande è il numero dei suoi fedeli. Per quel che riguarda, poi, il reperimento delle risorse «vi sarebbe, soggiacente a ogni società, un giacimento finanziario costituito da somme, piccole o grandi, che brave persone sono pronte a donare per la salvezza della propria anima, per la propria sanità mentale o per qualsiasi altro obiettivo; dato che la divisione del lavoro aiuta, si costituiscono "compagnie" per esplorare, trivellare e sfruttare questo giacimento. Ciò presuppone che l' economia interessata sia in grado di sviluppare un surplus. Il giacimento non è estensibile all' infinito, anche se, a condizione di non toccare il capitale, è indefinitamente rinnovabile. Ogni luogo di culto, anche la più umile parrocchia, può dunque essere considerato come una torre di trivellazione... Ogni religione cerca di allacciarsi a questo giacimento favoloso e, se ci riesce, di assicurarsene il monopolio su un dato territorio». Ma il flusso delle donazioni non è regolabile e spesso nella storia delle religioni si nota che esso genera un' eccedenza. Mosè, secondo la Bibbia, dovette mettere fine alla colletta promossa per costruire il santuario di Yahweh dal momento che il popolo portava «molto di più» di quel che era necessario per eseguire l' opera voluta dal Signore; sulla parete sud del tempio funerario di Ramsete II a Medinat Habu (in Egitto) compare un elenco di offerte che dovevano essere portate nei diversi momenti dell' anno in quantità tale che è impossibile pensare venissero ammucchiate sull' altare. Ed è ancora Adam Smith a osservare che «il clero non poteva trarre vantaggio da questa immensa eccedenza se non impiegandola nella più prodiga ospitalità e nella più grande carità». Stando a Smith, dunque, le due più importanti istituzioni della Chiesa nel Medioevo erano dovute non tanto a virtù evangeliche quanto alla necessità di smaltire un surplus di donazioni. Ma torniamo al tema di partenza, che è quello del monopolio. Il monopolio, scrive Simonnot, non può esistere senza l' intervento diretto o indiretto dello Stato, il quale dispone della forza per mettere barriere all' ingresso di un mercato, «e di fatto, nella storia, ogni monopolio religioso si è appoggiato all' autorità pubblica, oppure se ne è appropriato». Ma quando, ciò che è inevitabile, il monopolio che poggia sullo Stato abuserà della propria posizione, sorgeranno dei concorrenti sia all' interno della Chiesa - chiamati riformatori, scismatici o eretici (i protestanti nel cristianesimo del XVI secolo) - sia all' esterno con la comparsa di nuove religioni: ad esempio l' islam nel VII secolo. Di qui si potrebbe anche immaginare una sorta di «ciclo» religioso che si riproduce all' infinito: «In un mercato aperto alla concorrenza, una religione tende al monopolio; questo monopolio non può che poggiare sullo Stato; una volta che poggia sullo Stato, abusa della propria posizione; il prodotto scade; compaiono altre religioni con il che si torna alla situazione di concorrenza». E di qui riparte il ciclo. Il papato, puntellato dall' impero, in alcuni momenti della storia è stato di fatto una delle più grandi potenze finanziarie del mondo, che attirava i banchieri più influenti, scrive Simonnot: i Medici, i Fugger, i Rothschild. Per la legge di cui sopra questo gigantesco monopolio è stato, però, contestato e messo in crisi; con il che il «mercato» religioso è tornato successivamente ad essere pienamente aperto alla concorrenza. C' è un momento, inoltre, in cui l' influenza economica dell' istituzione religiosa entra in concorrenza con quella dello Stato. Anche di questo aveva parlato Adam Smith: «L' entrata di ogni chiesa costituita», scrisse, «è una parte dell' entrata generale dello Stato che viene così distratta per uno scopo molto diverso da quello della sua difesa. La decima ad esempio è una vera imposta fondiaria che impedisce ai proprietari terrieri di contribuire alla difesa dello Stato nel modo generoso che sarebbe loro altrimenti consentito. Tuttavia secondo alcuni la rendita della terra è l' unico fondo e secondo altri il fondo principale con il quale in tutte le grandi monarchie si deve fare fronte alle esigenze dello Stato. Evidentemente quanto più di questo fondo viene dato alla Chiesa, tanto meno può essere riservato allo Stato. Si può benissimo affermare come massima certa che, a parità delle altre condizioni, quanto più ricca è la Chiesa, tanto più poveri devono essere necessariamente il sovrano da un lato e il popolo dall' altro; e, in tutti i casi, tanto meno lo Stato sarà in grado di difendersi». Simonnot colloca il momento in cui inizia la concorrenza tra Stato e Chiesa nel XII secolo, cioè quando si stabilisce una relazione diretta tra tasse pagate al fisco e decime per la Chiesa: tanto più alte sono le prime, tanto minori saranno le seconde e viceversa. A suo avviso, «una sorta di legge fisica faceva dunque prevedere con otto secoli di anticipo quel che sarebbe avvenuto al fisco dello Stato quando le rendite del papato si sarebbero ridotte al minimo». Se è vero che nel XX secolo il fisco ha lasciato alla Chiesa solo una porzione «congrua», si può in qualche modo asserire che lo Stato-provvidenza ha preso il posto della carità cristiana. A questo punto il potere pubblico comincia a vedere nelle Chiese e nelle sette dei rivali in materia di direzione delle anime ma anche (e, forse, soprattutto) dei concorrenti fiscali. Lo Stato, in questa nuova situazione, preferisce di gran lunga avere a che fare con «cartelli» religiosi o con un monopolio con cui può stabilire un modus vivendi piuttosto che con una moltitudine di sette incontrollabili. Ed è di qui che nascono le politiche concordatarie. Per parte sua un monopolio religioso, se vuole durare, ha un disperato bisogno di appoggiarsi allo Stato «in quanto difficilmente può soddisfare la "domanda" di religione in tutte le sue sfaccettature». Se, proviamo a supporre, «il grosso della "clientela" è soddisfatto di una qualità media a un prezzo medio, alle estremità della scala delle preferenze religiose si trovano in "alto" dei "consumatori" molto devoti che sarebbero disposti a pagare molto più caro un prodotto di migliore qualità e in basso, al contrario, dei "clienti" che si accontenterebbero di un prodotto mediocre a un prezzo più contenuto. Questa diversità di gusti e di esigenze obbliga il monopolio, se vuole durare, ad ampliare la gamma dell' offerta per soddisfare tutti». Così fu per la Chiesa cattolica quando si trovò in condizioni di monopolio: severi e rigorosi ordini monastici permettevano di rispondere ai clienti più esigenti, mentre i «parrocchiani della domenica» potevano limitarsi a fare la comunione a Pasqua. Ma quando l' appoggio dello Stato venne meno e il «mercato» religioso si aprì alla concorrenza, «allora questa vasta gamma fu più difficile da coprire e il vecchio monopolio venne attaccato alle due estremità». E da allora il fenomeno si è riprodotto più volte: in basso «vaghe credenze cercano di recuperare i "parrocchiani della domenica" con religioni o filosofie da ciarlatani»; in alto, «alcune sette giungono a offrire nuovi "prodotti" più rigorosi che riescono a vendere ad alto prezzo e questo prezzo, ovvero i sacrifici richiesti in tempo e denaro, diventano persino una sorta di garanzia di qualità». In seguito le sette, «una volta piazzate nella propria nicchia cercheranno di ampliare la "clientela" abbassando insieme il prezzo e le proprie esigenze; non tutte ci riescono, naturalmente; ma quelle che arrivano ad estendersi diventano a loro volta Chiese, cercando di approfittare delle tendenze monopolistiche dell' economia locale». Le espressioni di Simonnot sono volutamente quelle che si usano nel linguaggio economico e l' autore tiene a ripetere che in esse non c' è - o quantomeno non vuole esserci - niente di offensivo o riduttivo. Neanche quando scrive che «la nascita del cristianesimo è avvenuta, se così possiamo dire, conformemente a questo business model; la setta è diventata una Chiesa». Per poi aggiungere: «Possiamo anche immaginare che delle Chiese tornino ad essere sette, abbandonando le frange più lassiste della propria "clientela" e concentrandosi sui propri membri integralisti». Un discorso che ha molte implicazioni. Per la storia ma anche per l' oggi. RIPRODUZIONE RISERVATA Quando un culto ufficiale abusa della sua posizione sorgono scismi, eresie e riforme per cui con il tempo si ricrea una situazione di pluralismo La Roma pontificia Il papato in alcuni momenti storici è stato nei fatti una delle più grandi potenze finanziarie del mondo Parabole * * * Bibliografia Smith e Weber gli antesignani Nel saggio Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo, islam (Fazi, pagine 338, Euro 19) il giornalista economico francese Philippe Simonnot analizza le vicende delle tre grandi fedi monoteiste come se fossero una sorta di grandi aziende. Il libro, in uscita il prossimo 22 gennaio, ripropone in chiave nuova il tema del rapporto tra economia e religione, già esplorato in opere classiche come La ricchezza delle nazioni dello scozzese Adam Smith (le cui edizioni integrali più recenti sono uscite presso la Utet e la Newton Compton) e L' etica protestante e lo spirito del capitalismo del tedesco Max Weber (di cui è appena uscita l' edizione Bur, pagine 129, Euro 4.90, con prefazione di Francesco Giavazzi). Le tesi di Weber hanno trovato in Italia un critico agguerrito in Luciano Pellicani, cui si deve il saggio La genesi del capitalismo e le origini della modernità (Marco editore, 2006). Da segnalare inoltre Il mercato del cristianesimo (Egea - Università Bocconi Editore, pagine 330, Euro 27,50), un testo uscito in Italia nel 2008, tradotto da Marco Cupellaro e con prefazione di Stefano Zamagni, in cui i tre studiosi Robert B. Ekelund jr, Robert F. Hébert e Robert D. Tollison applicano gli strumenti della teoria economica alla storia e alle istituzioni della religione cristiana.
    Mieli Paolo
    Pagina 046/047
    (12 gennaio 2010) - Corriere della Sera

    Oncologia e Chiese

    L'oncologia è una Chiesa con i suoi papi, vescovi etc. Tutti, a parte l'interesse economico, interessati al Potere. E trovo molto simile l'attuale panorama oncologico allo scenario delle religioni monoteiste delineate in bel libro "Il Mercato di Dio". Spero di non offendere la fede di alcuno.

    venerdì 5 agosto 2011

    Acqua, Napoli, Cittadini e Ex Magistrati.


    Il Sindaco di Napoli allo scopo di ridurre il consumo di acqua minerale e lo smaltimento delle bottiglie vara un provvedimento.Ogni condominio o ente o azienda dovrà pagare laboratori indicati dal comune per far analizzare l'acqua erogata dall'ente municipalizzato.In pratica io compero l'acqua e devo pagare per farla analizzare.E se non risulta potabile devo pagarla a un ente che me la vende come tale? E non dovrebbe spettare a Comune Nas o Magistratura controllare un ente municipalizzato? Un'acqua migliore del rubinetto, multe salate per chi getta bottiglie di plastica non compresse e una tassa comunale su bottiglie di minerale possono ridurre il consumo e lo smaltimento .Non un pizzo comunale sul cittadino comune.
    Oggi su Corriere del Mezzogiorno

    lunedì 25 luglio 2011

    Homo habilis e Sapiens Sapiens


    L'homo sapiens sapiens ha scoperto molte cose, curato molti mali e tanti se li è procurati. Dimenticando che noi esistiamo per riprodurci per salvare la specie e dovremmo far trovare il mondo ai nostri figli come lo abbiamo trovato. Anzi migliore.

    Nel nostro "mestiere" esistono tanti "homo habilis" (per mancanza o colpevole negligenza di cattivi maestri, per furbizia, per non voler comprare i libri o per "senso di onnipotenza", o di frustrazione

    E' opportuno che chi è più giovane diventi sapiens sapiens. E faccia buon uso della conoscenza e del suo ruolo di medico e di essere umano.

    domenica 24 luglio 2011

    MELATONIN AND CANCER

    MELATONINA.AGENTE ANTI-CANCRO.

    J Pineal Res. 1997 May;22(4):184-202.

    The validity of melatonin as an oncostatic agent.

    Department of Physiology, University of Pretoria, South Africa.

    Abstract

    The validity of melatonin as a prominent, naturally occurring oncostatic agent is examined in terms of its putative oncostatic mechanism of action, the correlation between melatonin levels and neoplastic activity, and the outcome of therapeutically administered melatonin in clinical trials. Melatonin's mechanism of action is summarized in a brief analysis of its actions at the cellular level, its antioxidative functions, and its indirect immunostimulatory effects. The difficulties of interpreting melatonin levels as a diagnostic or prognostic aid in cancer is illustrated by referral to breast cancer, the most frequently studied neoplasm in trials regarding melatonin. Trials in which melatonin was used therapeutically are reviewed, i.e., early studies using melatonin alone, trials of melatonin in combination with interleukin-2, and controlled studies comparing routine therapy to therapy in combination with melatonin. A table compiling the studies in which melatonin was used in the treatment of cancer in humans is presented according to the type of neoplasm. Melatonin's suitability in combination chemotherapy, where it augments the anticancer effect of other chemotherapeutic drugs while decreasing some of the toxic side effects, is described. Based on the evidence derived from melatonin's antiproliferative, antioxidative, and immunostimulatory mechanisms of action, from its abnormal levels in cancer patients and from clinical trials in which melatonin was administered, it is concluded that melatonin could indeed be considered a physiological anticancer substance. Further well-controlled trials should, however, be performed in order to find the link between its observed effects and the underlying mechanisms of action and to define its significance as a therapeutic oncostatic agent.
    Integr Cancer Ther. 2008 Sep;7(3):189-203.

    Therapeutic actions of melatonin in cancer: possible mechanisms.

    Department of Physiology, School of Medical Sciences, University Sains Malaysia, Kubang Kerian, Kelantan, Malaysia.

    Abstract

    Melatonin is a phylogenetically well-preserved molecule with diverse physiological functions. In addition to its well-known regulatory control of the sleep/wake cycle, as well as circadian rhythms generally, melatonin is involved in immunomodulation, hematopoiesis, and antioxidative processes. Recent human and animal studies have now shown that melatonin also has important oncostatic properties. Both at physiological and pharmacological doses melatonin exerts growth inhibitory effects on breast cancer cell lines. In hepatomas, through its activation of MT1 and MT2 receptors, melatonin inhibits linoleic acid uptake, thereby preventing the formation of the mitogenic metabolite 1,3-hydroxyoctadecadienoic acid. In animal model studies, melatonin has been shown to have preventative action against nitrosodiethylamine (NDEA)-induced liver cancer. Melatonin also inhibits the growth of prostate tumors via activation of MT1 receptors thereby inducing translocation of the androgen receptor to the cytoplasm and inhibition of the effect of endogenous androgens. There is abundant evidence indicating that melatonin is involved in preventing tumor initiation, promotion, and progression. The anticarcinogenic effect of melatonin on neoplastic cells relies on its antioxidant, immunostimulating, and apoptotic properties. Melatonin's oncostatic actions include the direct augmentation of natural killer (NK) cell activity, which increases immunosurveillance, as well as the stimulation of cytokine production, for example, of interleukin (IL)-2, IL-6, IL-12, and interferon (IFN)-gamma. In addition to its direct oncostatic action, melatonin protects hematopoietic precursors from the toxic effect of anticancer chemotherapeutic drugs. Melatonin secretion is impaired in patients suffering from breast cancer, endometrial cancer, or colorectal cancer. The increased incidence of breast cancer and colorectal cancer seen in nurses and other night shift workers suggests a possible link between diminished secretion of melatonin and increased exposure to light during nighttime. The physiological surge of melatonin at night is thus considered a "natural restraint" on tumor initiation, promotion, and progression
    Cancer Res. 2006 Oct 15;66(20):9789-93.

    Melatonin in cancer management: progress and promise.

    Department of Dermatology, University of Wisconsin, Madison, WI 53706, USA.

    Abstract

    Physiologic and pharmacologic concentrations of the pineal hormone melatonin have shown chemopreventive, oncostatic, and tumor inhibitory effects in a variety of in vitro and in vivo experimental models of neoplasia. Multiple mechanisms have been suggested for the biological effects of melatonin. Not only does melatonin seem to control development alone but also has the potential to increase the efficacy and decrease the side effects of chemotherapy when used in adjuvant settings. This review critically evaluates progress in the ability of melatonin to prevent or reverse cancer development and progression. We also discuss future prospects of the possible development of melatonin as a chemopreventive agent
    Eur J Cancer Prev. 2007 Dec;16(6):511-6.

    Neurobiological effects of melatonin as related to cancer.

    Allergy Research Group, USC, Advanced Integrative Medicine, San Jose, CA 95117, USA. niscba@aol.com

    Abstract

    Melatonin is a neurohormone naturally found in humans. Melatonin plays a role in maintaining sleep-wake rhythms; supplementation may help to regulate sleep disturbance that occur with jet lag, rotating shift-work and depression. Preliminary study of melatonin has shown potential for use in the treatment of epilepsy, tinnitus, migraine and neurodegenerative diseases. The latest publication in the Journal of Pineal Research by Edward Mills and colleagues has shown a compelling role of melatonin for the treatment of cancer. Melatonin's consistent relationship with cancer has been shown in many studies assessing links between shift work and cancer rates. High levels of melatonin have been linked to slower cancer progression. How melatonin affects cancer remains largely unclear. Although previous studies suggest different possible mechanisms, many of them are far distant from the primary physiological role of melatonin as a neurohormone. Conflicting studies are found on the role of melatonin in neurodegenerative diseases and cancer. In this article, we try to build and substantiate a neurobiological concept for the anticancer effects of melatonin.
    Indian J Med Sci. 2006 Dec;60(12):523-35.

    Melatonin in pathogenesis and therapy of cancer.

    UGC Research Unit, Bhavans New Science College, Narayanguda, Hyderabad - 500 029, India. rravindra_tiwari@yahoo.com

    Abstract

    Melatonin is a neuroendocrine hormone secreted by the pineal gland to transduce the body's circadian rhythms. An internal 24 hour time keeping system (biological clock) regulated by melatonin, controls the sleep-wake cycle. Melatonin production is a highly conserved evolutionary phenomenon. The indole hormone is synthesized in the pinealocytes derived from photoreceptors. Altered patterns and/or levels of melatonin secretion have been reported to coincide with sleep disorders, jetlag, depression, stress, reproductive activities, some forms of cancer and immunological disorders. Lately, the physiological and pathological role of melatonin has become a priority area of investigation, particularly in breast cancer, melanoma, colon cancer, lung cancer and leukemia. According to the 'melatonin hypothesis' of cancer, the exposure to light at night (LAN) and anthropogenic electric and magnetic fields (EMFs) is related to the increased incidence of breast cancer and childhood leukaemia via melatonin disruption. Melatonin's hypothermic, antioxidant and free radical scavenging properties, attribute it to an immunomodulator and an oncostatic agent as well. Many clinical studies have envisaged the potential therapeutic role of melatonin in various pathophysiological disorders, particularly cancer. A substantial reduction in risk of death and low adverse effects were reported from various randomized controlled trials of melatonin treatment in cancer patients. This review summarizes the physiological significance of melatonin and its potential role in cancer therapy. Furthermore, the article focuses on melatonin hypothesis to represent the cause-effect relationship of the three aspects: EMF, LAN and cancer
    J Clin Oncol. 2002 May 15;20(10):2575-601.

    Melatonin: from basic research to cancer treatment clinics.

    Departments of Radiation Oncology, The University of Texas Health Science Center, 7703 Floyd Curl Drive, San Antonio, TX 78229, USA. vijay@uthscsa.edu
    Comment in:

    Abstract

    Melatonin, the chief secretory product of the pineal gland, is a direct free radical scavenger, an indirect antioxidant, as well as an important immunomodulatory agent. In both in vitro and in vivo investigations, melatonin protected healthy cells from radiation-induced and chemotherapeutic drug-induced toxicity. Furthermore, several clinical studies have demonstrated the potential of melatonin, either alone or in combination with traditional therapy, to yield a favorable efficacy to toxicity ratio in the treatment of human cancers. This study reviews the literature from laboratory investigations that document the antioxidant and oncostatic actions of melatonin and summarizes the evidence regarding the potential use of melatonin in cancer treatment. This study also provides rationale for the design of larger translational research-based clinical trials.
    J Pharm Pharmacol. 2002 Oct;54(10):1299-321.

    Melatonin: reducing the toxicity and increasing the efficacy of drugs.

    University of Texas Health Science Center, Department of Cellular and Structural Biology, MC 7762, 7703 Floyd Curl Drive, San Antonio, TX 78229-3900, USA. Reiter@uthscsa.edu

    Abstract

    Melatonin (N-acetyl-5-methoxytryptamine) is a molecule with a very wide phylogenetic distribution from plants to man. In vertebrates, melatonin was initially thought to be exclusively of pineal origin recent studies have shown, however, that melatonin synthesis may occur in a variety of cells and organs. The concentration of melatonin within body fluids and subcellular compartments varies widely, with blood levels of the indole being lower than those at many other sites. Thus, when defining what constitutes a physiological level of melatonin, it must be defined relative to a specific compartment. Melatonin has been shown to have a variety of functions, and research in the last decade has proven the indole to be both a direct free radical scavenger and indirect antioxidant. Because of these actions, and possibly others that remain to be defined, melatonin has been shown to reduce the toxicity and increase the efficacy of a large number of drugs whose side effects are well documented. Herein, we summarize the beneficial effects of melatonin when combined with the following drugs: doxorubicin, cisplatin, epirubicin, cytarabine, bleomycin, gentamicin, ciclosporin, indometacin, acetylsalicylic acid, ranitidine, omeprazole, isoniazid, iron and erythropoietin, phenobarbital, carbamazepine, haloperidol, caposide-50, morphine, cyclophosphamide and L-cysteine. While the majority of these studies were conducted using animals, a number of the investigations also used man. Considering the low toxicity of melatonin and its ability to reduce the side effects and increase the efficacy of these drugs, its use as a combination therapy with these agents seems important and worthy of pursuit.
    Breast Cancer Res. 2005;7(4):R470-6. Epub 2005 Apr 29.

    Preventive and curative effect of melatonin on mammary carcinogenesis induced by dimethylbenz[a]anthracene in the female Sprague-Dawley rat.

    Laboratoire de Neuroendocrinologie, CNRS-FRE2718, UFR Biomédicale des Saints-Pères, Université René Descartes, Paris, France. veronique.lenoir@univ-paris5.fr

    Abstract

    INTRODUCTION: It has been well documented that the pineal hormone, melatonin, which plays a major role in the control of reproduction in mammals, also plays a role in the incidence and growth of breast and mammary cancer. The curative effect of melatonin on the growth of dimethylbenz [a]anthracene-induced (DMBA-induced) mammary adenocarcinoma (ADK) has been previously well documented in the female Sprague-Dawley rat. However, the preventive effect of melatonin in limiting the frequency of cancer initiation has not been well documented.
    METHODS: The aim of this study was to compare the potency of melatonin to limit the frequency of mammary cancer initiation with its potency to inhibit tumor progression once initiation, at 55 days of age, was achieved. The present study compared the effect of preventive treatment with melatonin (10 mg/kg daily) administered for only 15 days before the administration of DMBA with the effect of long-term (6-month) curative treatment with the same dose of melatonin starting the day after DMBA administration. The rats were followed up for a year after the administration of the DMBA.
    RESULTS: The results clearly showed almost identical preventive and curative effects of melatonin on the growth of DMBA-induced mammary ADK. Many hypotheses have been proposed to explain the inhibitory effects of melatonin. However, the mechanisms responsible for its strong preventive effect are still a matter of debate. At least, it can be envisaged that the artificial amplification of the intensity of the circadian rhythm of melatonin could markedly reduce the DNA damage provoked by DMBA and therefore the frequency of cancer initiation.
    CONCLUSION: In view of the present results, obtained in the female Sprague-Dawley rat, it can be envisaged that the long-term inhibition of mammary ADK promotion by a brief, preventive treatment with melatonin could also reduce the risk of breast cancer induced in women by unidentified environmental factors